L’oro italiano a Fort Knox è al sicuro?
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Elon Musk, l’Oro di Fort Knox e le Preoccupazioni per le Riserve Italiane: Una Questione di Sovranità
Elon Musk ha recentemente puntato i riflettori su un tema che tocca le corde della sovranità nazionale e della trasparenza economica: le riserve auree americane custodite a Fort Knox. Con la sua solita schiettezza, Musk ha dichiarato che “nessuno ha potuto controllare se l’oro c’è davvero”, sollevando dubbi su una delle istituzioni simbolo della potenza economica statunitense. Un’affermazione che non è passata inosservata, soprattutto in Italia, dove il senatore Claudio Borghi, noto per il suo impegno sulla tutela delle risorse nazionali, ha colto la palla al balzo per rilanciare un’interrogazione cruciale: che fine ha fatto l’oro italiano depositato all’estero?
Borghi, che ha avuto l’onore di verificare di persona le 1.100 tonnellate di oro custodite nei caveau italiani – confermandone la presenza –, ha rivolto un appello diretto a Musk via social: “Dear @elonmusk, while auditing Fort Knox gold, could you pls check if Italy’s 1,061.5 tonnes deposited are still there?”. Una richiesta che, pur con un pizzico di ironia, nasconde una preoccupazione reale: possiamo davvero fidarci dei depositi stranieri che custodiscono una parte consistente delle nostre riserve auree?
L’Oro Italiano nel Mirino: Una Distribuzione Strategica o un Rischio Storico?
La Banca d’Italia detiene complessivamente circa 2.452 tonnellate d’oro, distribuite tra Italia e tre località estere:
Italia: 1.100 tonnellate
Stati Uniti: 1.061,5 tonnellate (principalmente a Fort Knox)
Regno Unito: 141,2 tonnellate (Bank of England)
Svizzera: 149,3 tonnellate
Questa suddivisione, nata come strategia di diversificazione del rischio durante la Guerra Fredda, riflette anche un’eredità storica: l’oro italiano si trova nei paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale, che da allora hanno esercitato un’influenza diretta o indiretta sul nostro Paese. Ma oggi, in un contesto di incertezza economica e geopolitica, questa dipendenza dai depositi esteri sta diventando un problema sempre più pressante.
La “Corsa all’Oro” e i Ritardi della Bank of England
Negli ultimi mesi, il mercato dell’oro è stato travolto da una vera e propria “corsa” verso New York, alimentata dai timori per i dazi commerciali annunciati dall’amministrazione Trump. Circa 12,2 milioni di once di oro sono state trasferite nei magazzini del Comex, segno di una preferenza per la sicurezza percepita delle istituzioni americane. Ma c’è un rovescio della medaglia: la Bank of England, che custodisce 141,2 tonnellate di oro italiano, sta mostrando crepe preoccupanti. I tempi per il ritiro dei lingotti sono passati da pochi giorni a un intervallo di 4-8 settimane, un ritardo che solleva interrogativi sulla capacità operativa e sulla reale disponibilità dell’oro depositato.
Questo fenomeno non è isolato. Ricorda la crisi degli anni ’60, quando un’ondata di ritiri massicci mise in discussione la fiducia nella Bank of England come “santuario” delle riserve auree. Se un ritiro del solo 2% delle riserve provoca un’attesa di sei settimane, cosa accadrebbe in uno scenario di crisi più grave? E soprattutto: l’Italia può permettersi di lasciare una parte del suo patrimonio nazionale in balia di dinamiche che non controlla?
Il Prezzo dell’Oro alle Stelle e il Rischio Politico
Il prezzo dell’oro ha raggiunto nuovi massimi, superando i 2.800 dollari l’oncia, spinto da investitori in cerca di beni rifugio in un clima di incertezza globale. Ma non è solo una questione di mercato: i rischi politici ed economici si intrecciano. I dazi trumpiani, la volatilità internazionale e le tensioni geopolitiche potrebbero spingere alcuni Paesi a “bloccare” l’accesso alle riserve straniere, come già accaduto in passato (si pensi al caso del Venezuela, escluso dal ritiro del proprio oro dalla Bank of England nel 2018). In questo contesto, le 1.061,5 tonnellate italiane a Fort Knox e le 141,2 tonnellate a Londra diventano una potenziale vulnerabilità.
Borghi e Musk: Una Convergenza Inaspettata
La provocazione di Musk e l’appello di Borghi convergono su un punto fondamentale: la necessità di trasparenza e controllo sulle riserve auree. Mentre Musk mette in dubbio l’integrità di Fort Knox, Borghi sottolinea con orgoglio che l’Italia ha verificato la presenza del suo oro sul territorio nazionale. Ma la domanda resta: chi garantisce che le 1.061,5 tonnellate depositate negli Stati Uniti siano ancora lì? E se fossero state “prestate” o utilizzate in operazioni finanziarie senza il consenso italiano, come già accaduto in passato con altre nazioni?
Una Soluzione: Rimpatriare l’Oro Italiano
La soluzione più logica sarebbe il rimpatrio delle riserve italiane conservate all’estero, a partire da quelle negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Non si tratta solo di una questione economica, ma di sovranità nazionale. In un mondo dove l’oro rimane un baluardo contro l’instabilità dei mercati e delle valute fiat, l’Italia non può permettersi di lasciare una parte del suo “tesoro” in mani altrui, soprattutto quando queste mani mostrano segni di debolezza o ambiguità.
La Banca d’Italia dovrebbe seguire l’esempio di Paesi come Germania e Olanda, che negli ultimi anni hanno riportato a casa gran parte delle loro riserve auree. I 15 miliardi ipotizzati nell’articolo precedente per MES potrebbero essere un punto di partenza per finanziare un’operazione di rimpatrio, garantendo non solo la sicurezza dell’oro, ma anche un segnale politico forte: l’Italia non è più disposta a essere un vassallo di potenze straniere.
Conclusione: L’Oro è Sovranità
Le parole di Musk e l’iniziativa di Borghi ci ricordano una verità semplice ma fondamentale: le riserve auree non sono solo un asset economico, ma un simbolo di indipendenza. In un’epoca di crisi e incertezze, l’Italia deve agire per proteggere il suo patrimonio, verificando la presenza dell’oro all’estero e, se necessario, riportandolo a casa. Altro che fidarsi ciecamente di Fort Knox o della Bank of England: è ora di riprendere il controllo di ciò che ci appartiene.
Mi raccomando; analizzatelo bene perchè se a Fort Knox hanno fatto fessi i tedeschi non vedo perchè non ci debbano aver provato anche con altri paesi…