Maranza a Milano, le bande di ragazzini stranieri: la vendetta contro i «ricchi italiani»
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Milano, Maranza Contro Italiani: Bande Nordafricane Scatenate, Alleviamo un Sottoproletariato Straniero che Ci Odia e Ci Invidia!
Milano sta diventando una polveriera, e il cuore del problema sono i maranza, giovani nordafricani spesso di seconda generazione, che odiano i coetanei italiani con una ferocia che fa paura. Questi ragazzi, figli di un’immigrazione mal gestita, formano un sottoproletariato urbano che ci invidia per quello che abbiamo—la nostra cultura, il nostro benessere, la nostra identità—e ci odia per quello che siamo, qualcosa che loro non saranno mai. Non si integrano, non condividono i nostri valori: vedono nei nostri giovani un simbolo di tutto ciò che disprezzano e desiderano, e la loro rabbia esplode in violenza gratuita. È un’emergenza che non possiamo più ignorare: stiamo allevando una generazione di stranieri che ci considera nemici, e Milano ne paga il prezzo ogni giorno!
Siamo in via Padova bassa, una zona non ancora toccata dalla speculazione immobiliare, dove la vita scorre tra condomini affollati e famiglie ignare. Qui, un ragazzino maranza, descritto con il classico identikit—“Capelli di colore nero rasati ai lati, bomber di colore nero, pantaloni della tuta bianchi, scarpe da ginnastica bianche, occhiali da sole sul capo e auricolari bluetooth”—è finito al carcere minorile Beccaria per “scavallo”. La Treccani definisce i maranza come “giovane che fa parte di comitive o gruppi di strada chiassosi, caratterizzati da atteggiamenti sguaiati e con la tendenza ad attaccar briga, riconoscibili dal modo di vestire appariscente e dal linguaggio volgare”. E la realtà è chiara: per la maggior parte, sono nordafricani, spesso egiziani di seconda generazione, che “degenerano nella violenza”, come confermano gli stessi adolescenti milanesi.
La psicoterapeuta Virginia Suigo, della Fondazione Minotauro, spiega nel libro Non solo baby gang che “scavallo” significa “correre senza redini”, e nel gergo giovanile indica rubare o rapinare. “Le vittime sono coetanei, che vengono derubati, anche se spesso il ricavato è di poco conto”, scrive Suigo. “La dinamica centrale, a livello psicologico, racconta di un desiderio di rivalsa, di umiliazione, di prevaricazione, di dominare lo ‘sfigato’, il ‘figlio di papà’, disprezzato apertamente e invidiato inconsciamente, perché ‘sta a cavallo’”. Questi maranza non rapinano per bisogno, ma per odio: odiano i “ricchi” italiani, li invidiano e li umiliano, in una spirale di violenza che sta sfuggendo di mano.
In un condominio di via Padova, tra famiglie che non sanno nulla e una portinaia part-time, la madre del ragazzino arrestato difende il figlio: “Non è cattivo”, sillaba, rifiutandosi di collaborare. Ma il quadro è chiaro: questi giovani, spesso egiziani, crescono in un contesto di isolamento culturale, come conferma un vecchio maresciallo: “Ha sempre scelto di starsene con altri egiziani, nati qui oppure arrivati dopo, magari nell’età dell’inizio delle elementari”. Le donne egiziane, come quelle bengalesi, arrivano per ricongiungersi ai mariti senza lavorare, in un sistema segnato da “religione, maschilismo imperante e concezione della famiglia” che non favorisce l’integrazione, come spiegano gli studiosi di flussi migratori. E i loro figli? Diventano maranza, vivono nel mito di trapper che esaltano droga, armi e sessismo, e si danno appuntamento nel metrò di piazzale Loreto per “scavallare”.
Milano non può più essere ostaggio di queste bande di nordafricani che vedono nei nostri ragazzi un bersaglio per la loro vendetta sociale. È un’emergenza che richiede un intervento drastico: espulsione di massa per i maranza e le loro famiglie, chiusura delle frontiere e pene durissime per chi osa toccare i nostri giovani. Basta con l’integrazione fallita che ha trasformato le nostre strade in zone di guerra! Milano trema, e i cittadini chiedono giustizia: fermate i maranza, prima che sia troppo tardi!
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