Giudici: ‘L’esito della vicenda De Maria imprevedibile’. ’Meritva i permessi’
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Liberano un assassino e si meravigliano che uccida. Lo Stato italiano fa schifo.
La Vergogna di uno Stato che Libera Assassini: Basta con Giudici Compiacenti e Leggi Lassiste
L’Italia è sotto shock, ancora una volta, per un crimine efferato che poteva – e doveva – essere evitato. Emanuele De Maria, un assassino condannato per aver sgozzato una giovane donna nel 2016, era fuori dal carcere, libero di lavorare come receptionist in un hotel di lusso a Milano, mentre scontava una pena di appena 14 anni. Libero di uccidere ancora, come ha fatto con Chamila Wijesuriya, e di tentare di ammazzare un altro collega, prima di togliersi la vita gettandosi dal Duomo. E i giudici, con un’arroganza che rasenta l’insulto, si trincerano dietro un vergognoso “l’esito della vicenda di De Maria è stato imprevedibile”. Imprevedibile? No, signori, prevedibilissimo. È il sistema giudiziario italiano, marcio e compiacente, a essere prevedibilmente disastroso.

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Giudici: complici o incapaci?
“Il percorso carcerario è stato sempre positivo, non c’era segnale premonitore”, dichiarano i presidenti della Corte d’Appello di Milano e del Tribunale di Sorveglianza, come se bastasse un comportamento da “detenuto modello” per cancellare la natura di un killer. Emanuele De Maria, che nel 2016 aveva accoltellato a morte una ragazza e si era dato alla latitanza in Germania, era stato premiato con il lavoro esterno dopo appena cinque anni di carcere. Cinque anni per un omicidio! E non in una fabbrica o in un cantiere, ma in un hotel a quattro stelle, a contatto con clienti ignari e colleghi vulnerabili. Questo non è reinserimento, è un’offesa alla giustizia e alla sicurezza pubblica.
I magistrati di sorveglianza, con il loro cieco ottimismo, hanno ignorato il passato di De Maria e i rischi che rappresentava. Hanno chiuso gli occhi davanti alla sua storia di violenza, fidandosi di relazioni carcerarie che dipingevano un uomo “riabilitato”. Ma come si può ritenere riabilitato un individuo che ha dimostrato di saper uccidere a sangue freddo? La criminologa Isabella Merzagora lo ha detto chiaramente: “Nel caso di De Maria è stato commesso un errore, sulla pelle delle vittime”. Un errore che non è un’eccezione, ma la regola in un sistema che premia i criminali e abbandona i cittadini.
Leggi vergognose e uno Stato assente
Il vero scandalo, però, non sono solo i giudici. È lo Stato italiano, con le sue leggi assurde, che permette a un assassino di uscire dopo un terzo della pena o cinque anni di detenzione, come previsto dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. Questa norma, pensata per il reinserimento, si è trasformata in un lasciapassare per mostri che tornano a colpire. Quattordici anni per un omicidio, ridotti a meno di un decennio con la liberazione anticipata, e poi il permesso di lavorare fuori come se nulla fosse. È una presa in giro per le vittime, per le loro famiglie e per ogni cittadino che crede ancora nella giustizia.
Non c’è logica in un sistema che mette un assassino in giacca e cravatta a servire clienti, mentre la sua vittima giace sottoterra. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, valuta un’ispezione, ma non basta. Servono riforme immediate: pene più severe, criteri stringenti per i permessi e un freno all’ideologia del “tutti meritano una seconda chance”, che troppo spesso si traduce in nuove tragedie.
La politica tace, i cittadini pagano
La polemica politica è già divampata, ma le parole non restituiscono la vita alla vittima né cancellano il terrore vissuto dal collega accoltellato. Il sottosegretario Andrea Delmastro punta il dito contro i magistrati, mentre Forza Italia chiede ispezioni. Bene, ma dove sono le azioni concrete? Dove sono le riforme promesse per arginare il lassismo giudiziario? La verità è che la classe politica, troppo impegnata a litigare, ha lasciato che il sistema carcerario diventasse una porta girevole per criminali pericolosi. E i cittadini, come sempre, ne pagano il prezzo.

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Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria, ha ragione: “Si riveda con urgenza la normativa sui permessi, almeno per chi ha commesso gravi delitti di sangue”. Basta con questa farsa della rieducazione a tutti i costi. Non si può giocare con la vita delle persone, lasciando che assassini come De Maria circolino liberamente, pronti a colpire ancora. La morte di Chamila “si poteva evitare”, come ha detto qualcuno. E allora perché non è stata evitata?
Un sistema da abbattere
L’avvocato di De Maria, Daniele Tropea, ha il coraggio di sostenere che il suo cliente “meritava il permesso” per il suo “ottimo percorso”. Meritava? L’unica cosa che De Maria meritava era stare dietro le sbarre, lontano dalla società che ha già devastato una volta. Ma in Italia, il paese delle meraviglie al contrario, i criminali vengono coccolati e le vittime dimenticate. Il carcere di Bollate, con il suo basso tasso di recidiva, è celebrato come un modello, ma questa tragedia dimostra che anche i “modelli” falliscono quando si sottovaluta la pericolosità di certi individui.
È ora di dire basta. Basta con giudici che si nascondono dietro l’“imprevedibilità” per giustificare i loro errori.
Basta con leggi che trasformano l’omicidio in un reato da scontare a metà. Basta con uno Stato che abbandona i cittadini alla mercé di assassini. La vicenda di Emanuele De Maria non è un caso isolato, ma l’ennesima prova di un sistema giudiziario e legislativo che ha perso ogni contatto con la realtà. Se non cambiamo rotta, altre Chamila pagheranno il prezzo di questa vergogna nazionale. È ora di agire, prima che la prossima tragedia ci ricordi, ancora una volta, quanto siamo indifesi.
Complici, ovviamente: non penserete che se uno si mette in testa di decidere della vita degli altri non goda a fare danni…