Prigioniera per un mese dell’immigrato: stuprata in palazzo occupato
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**Un grido di rabbia: quando l’immigrazione senza controllo diventa un pericolo per le più fragili**

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È un pugno nello stomaco, un racconto che fa ribollire il sangue nelle vene. Giovedì 10 luglio 2025, in un’aula del tribunale di Ivrea, una ragazza fragile, chiamata a testimoniare in un processo per furto, si è trovata davanti alla foto del suo ex coinquilino, un immigrato di 25 anni, e il suo mondo è crollato. Le lacrime sono esplose, il dolore riaffiorato, e le parole, pesanti come macigni, hanno squarciato il silenzio: “Lui mi ha violentata nel sonno per un mese”. Un mese di orrore, di violazioni subite nel buio, mentre lei, vulnerabile, affogava in un periodo di fragilità, tra alcol e l’abbandono di una casa che non aveva più. “Non l’ho denunciato perché era un periodo difficile per me,” ha confessato, rispondendo alle domande della giudice Stefania Cugge. E chi può biasimarla? Una ragazza sola, cacciata di casa, persa nei suoi demoni, costretta a convivere in una occupazione abusiva con un predatore che ha approfittato della sua debolezza.
Questa non è una storia isolata, ma un campanello d’allarme che dovrebbe scuotere le coscienze di tutti. Quell’immigrato, ospitato nell’ex hotel La Serra di Ivrea – un luogo che, con la sua forma iconica di macchina da scrivere, dovrebbe essere un simbolo di storia e non di degrado – ha trasformato la vita di una giovane donna in un incubo. E per cosa? Per un sistema che permette a troppi di entrare senza controllo, di vivere ai margini, di approfittarsi delle crepe di una società che non protegge i più deboli.
La ragazza ha taciuto per anni, schiacciata dal peso della vergogna e della disperazione. Solo il caso, durante un’udienza per un furto risalente al 2020, ha portato alla luce questa verità agghiacciante. La procura di Ivrea, grazie alla testimonianza, aprirà un fascicolo per violenza sessuale, e la giudice ha già disposto il trasferimento degli atti. Ma questo non basta a placare la rabbia. Tre condanne sono state emesse per il processo originario, ma cosa dire del danno irreparabile subito da questa ragazza? Cosa dire di un sistema che permette a un predatore di vivere sotto lo stesso tetto di una giovane donna vulnerabile, senza che nessuno intervenga?
Basta con il buonismo ipocrita. Basta con le giustificazioni, con il “non tutti gli immigrati sono così”. Certo, non tutti lo sono, ma quelli che lo sono distruggono vite. Questa ragazza, già spezzata dalla vita, è stata calpestata ancora di più da chi non avrebbe mai dovuto avere l’opportunità di farle del male. È ora di dire basta a un’immigrazione incontrollata che mette a rischio le nostre donne, le nostre sorelle, le nostre figlie. È ora di proteggere chi non ha la forza di proteggersi da sola. La vicenda di Ivrea non è solo un caso giudiziario: è un grido di giustizia che non può restare inascoltato.
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