**Perquisizione a Chef Rubio: un attacco alla libertà d’espressione**
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**Perquisizione a Chef Rubio: un attacco alla libertà d’espressione**
Il 17 luglio 2025, la casa di Gabriele Rubini, noto come Chef Rubio, è stata perquisita dagli agenti dell’antiterrorismo della Questura di Roma, che hanno sequestrato i suoi dispositivi elettronici. L’operazione, come riportato dall’attivista Alberto Fazolo, nasce da due post su X in cui Rubini criticava Israele, esprimendo il suo sostegno alla causa palestinese. L’accusa è di istigazione all’odio razziale, un reato che potrebbe costargli fino a quattro anni di carcere. E già questo ci dice che in Italia non esiste democrazia: si puniscono le azioni, non i pensieri. Addirittura l’istigazione dei pensieri altrui è un reato degno di uno Stato di polizia.
Pur avendo idee opposte a quelle di Chef Rubio, trovo scandaloso che si indaghi e perquisisca qualcuno per le sue opinioni, per quanto possano essere divisive e in alcuni casi odiose. La libertà d’espressione è un pilastro della democrazia, e utilizzare il famigerato “psicoreato” di odio razziale per silenziare chi non si conforma alla narrazione dominante rappresenta un abuso di potere. Le procure sembrano sfruttare questa accusa come un’arma per reprimere voci dissidenti, creando un clima di intimidazione. La perquisizione di Rubio appare sproporzionata, soprattutto considerando che l’attivista è già stato vittima di un’aggressione violenta nel 2024, i cui responsabili restano impuniti.
Le autorità dovrebbero tutelare i cittadini, non soffocare il dissenso. Punire Rubio per i suoi post, mentre le indagini sulla sua aggressione languono, evidenzia una chiara distorsione delle priorità. La libertà di parola va difesa, anche quando le idee espresse sono scomode: è il prezzo di una società libera.
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