Migranti: “ORA CHIAMO I MIEI AMICI E TI FACCIO STUPRARE”
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**RIMINI, L’INFAMIA NON HA LIMITI: “ORA CHIAMO I MIEI AMICI E TI FACCIO STUPRARE” – UN URLO DI RABBIA CONTRO L’IMPUNITÀ**
L’Italia è sotto shock dopo l’ennesimo episodio di violenza che ha sconvolto Rimini. Un 23enne marocchino, in un bar della città, ha trasformato una tranquilla giornata in un incubo per due donne innocenti. Prima ha insultato e minacciato una cameriera con parole che fanno accapponare la pelle: “Ora chiamo i miei amici e ti faccio stuprare”. Poi, accecato dall’ira, ha scagliato un bicchiere contro una giovane cliente che aveva osato difenderla, recidendole di netto un tendine della mano. Un atto brutale, premeditato, che lascia ferite fisiche e psicologiche profonde. Eppure, ciò che fa ribollire il sangue è l’esito: l’aggressore, arrestato, è stato subito rimesso in libertà in attesa di processo. Un insulto alla giustizia, un pericolo per la società.
Le taglia i tendini della mano: “Se tu abitassi in Marocco saresti linciata”
Ma è quella frase – “Ora chiamo i miei amici e ti faccio stuprare” – a colpire come un pugno nello stomaco. Non è solo una minaccia, è una dichiarazione di guerra. Un’espressione che rivela un’arroganza spaventosa, un disprezzo totale per la dignità umana, in particolare per quella delle donne. Queste parole non sono un raptus momentaneo: sono il frutto di una mentalità che considera la violenza sessuale uno strumento di dominio, un’arma da usare senza remore. Il fatto che il colpevole abbia evocato un “gruppo” di complici suggerisce un’organizzazione che va oltre l’individuo, un sistema di valori che glorifica l’aggressione collettiva. È un grido che squarcia il velo dell’ipocrisia e ci costringe a guardare in faccia una realtà inquietante: chi pronuncia simili minacce non agisce da solo, ma si sente protetto da un contesto che, troppo spesso, sembra tollerarlo.
L’aggiunta successiva, “Se tu abitassi in Marocco saresti linciata”, non fa che aggravare il quadro. È un richiamo a una cultura diversa, un monito che trasforma la minaccia in un’ideologia. Sembra quasi un vanto, un modo per giustificare la propria brutalità evocando norme barbare di un altro paese. Questa frase non è solo un insulto alla vittima, ma un affronto all’Italia intera, ai suoi valori di libertà e uguaglianza. Eppure, invece di una risposta ferma, assistiamo a un’assurda libertà concessa all’aggressore, un segnale che la legge si piega di fronte a chi la sfida con tale efferatezza.
La decisione di rimetterlo in libertà è un’umiliazione per le vittime e un pericolo per tutti. Come può un individuo che pronuncia una minaccia così vile e commette un’aggressione fisica essere lasciato libero di circolare? Questa scelta non è solo un fallimento giudiziario, è un invito a ulteriori violenze. Le donne di Rimini, e dell’Italia tutta, meritano protezione, non l’incubo di incrociare di nuovo il loro aguzzino per strada. La ferita alla mano della cliente aggredita è un simbolo di un dolore che va oltre il fisico: è la paura di vivere in un paese dove la sicurezza sembra svanire.
Questa vicenda deve accendere un campanello d’allarme. La frase “Ora chiamo i miei amici e ti faccio stuprare” non è un’esagerazione isolata, ma un sintomo di un problema più grande: l’immigrazione incontrollata da paesi dove simili mentalità sono radicate, unita a una giustizia troppo debole per arginarle. Non si tratta di generalizzare, ma di affrontare la verità: quando chi arriva qui porta con sé un disprezzo per i nostri valori, e la legge non interviene con fermezza, il rischio è che la violenza diventi la norma. Azzerare l’immigrazione regolare da questi contesti e rafforzare le pene sono misure indispensabili per spezzare questo ciclo di impunità.
L’Italia non può più tollerare questa barbarie. La rabbia di un popolo stanco deve tradursi in azione. Chiediamo giustizia per la cameriera e la cliente di Rimini, ma soprattutto pretendiamo che simili minacce non restino parole al vento. “Ora chiamo i miei amici e ti faccio stuprare” deve essere l’ultimo grido di un passato che non vogliamo. È ora di dire basta, con la forza di una nazione che non si piega.
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