Migrante la violenta per strada, ‘condannato’ a corso di recupero
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Violenza sessuale a Macerata: un anno e otto mesi, una condanna che fa ridere e la giustizia che crolla
Un’altra storia di violenza, un altro schiaffo alle vittime, un altro giorno in cui la giustizia italiana si copre di ridicolo. A Macerata, un 37enne peruviano, cuoco di professione, ha aggredito una giovane studentessa universitaria in pieno pomeriggio, il 3 luglio scorso, in viale Carradori. L’ha afferrata alle spalle, le ha infilato le mani nei pantaloni fino a toccarle le parti intime, incurante delle sue urla e della sua disperazione. Solo quando la ragazza si è gettata a terra, urlando per salvarsi, il predatore è scappato. Ma la vergogna vera arriva oggi: per questo crimine ignobile, l’uomo è stato condannato a un risibile anno e otto mesi, con tanto di pena sospesa. Una sentenza che non è giustizia, ma un insulto.

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I fatti parlano da soli. La studentessa, terrorizzata, ha avuto la prontezza di chiamare il 112. Gli agenti della squadra mobile sono intervenuti rapidamente, rintracciando e arrestando il responsabile in poche ore. L’accusa, sostenuta dal pm Rosanna Buccini, era chiara: violenza sessuale, un reato che lascia cicatrici profonde, che distrugge la serenità di chi lo subisce. E cosa fa il tribunale di Macerata? Decide che un anno e otto mesi siano abbastanza per lavare via l’orrore, con l’aggiunta grottesca della pena sospesa, subordinata a un “percorso di recupero”. Recupero di cosa? Di un uomo che aggredisce una ragazza indifesa in pieno giorno, che la viola nella sua intimità e poi scappa come un codardo?
Un anno e otto mesi. Meno di due anni per un atto che segna una vita. E non finisce qui: la pena sospesa significa che questo individuo, difeso dall’avvocato Lucia Pettinari, potrebbe non passare nemmeno un giorno in carcere, a patto che segua un qualche corso o programma. È questa la risposta della giustizia italiana a una giovane che ha dovuto urlare per salvarsi? È questo il messaggio che vogliamo mandare alle donne, alle studentesse, a chiunque cammini per strada con il diritto di sentirsi al sicuro? Che un aggressore può cavarsela con una pacca sulla spalla e una condanna che sembra più una multa per divieto di sosta?
Non c’è proporzione, non c’è serietà, non c’è rispetto. Una condanna del genere non punisce, non protegge, non dissuade. È un lasciapassare per chi delinque, un invito a continuare, tanto il prezzo da pagare è irrisorio. Pensiamo alla vittima: una ragazza che probabilmente non camminerà più tranquilla per quella strada, che porterà con sé il trauma di quell’aggressione per anni, mentre il suo aguzzino potrebbe già essere libero di girare, magari a pochi passi da lei, con un sorrisetto compiaciuto e una pena che non ha nemmeno dovuto scontare.
E poi c’è il “percorso di recupero”. Che illusione patetica. Come se qualche ora di chiacchiere con uno psicologo potesse cancellare l’istinto di un uomo che non ha esitato a mettere le mani addosso a una sconosciuta. Siamo seri: chi compie un gesto simile non merita corsi, ma catene. La giustizia dovrebbe essere uno scudo per i cittadini, non un tappeto rosso per i criminali. Eppure, a Macerata, il tribunale ha scelto di premiare l’aggressore e umiliare la vittima.
Questa sentenza è l’ennesima prova di un sistema allo sbando, dove la paura di risultare “troppo duri” paralizza i giudici e lascia le strade in balia di chi non ha scrupoli. Un peruviano di 37 anni, arrivato in Italia chissà come e chissà perché, ha deciso che una studentessa fosse sua preda. E l’Italia, invece di sbatterlo fuori o rinchiuderlo per anni, gli dà una pena da barzelletta. Basta. È ora di smetterla con questa farsa: servono pene vere, espulsioni immediate per chi viene da fuori e delinque, e un segnale chiaro che la sicurezza dei cittadini viene prima delle belle parole sul “recupero”. Altrimenti, prepariamoci a contare le prossime vittime, mentre la giustizia continua a ridere di noi.
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