Klaus Schwab, il Papa nero si dimette dal WEF a 88 anni
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Forse punta al prossimo Conclave.
Klaus Schwab si dimette dal WEF: il simbolo del globalismo tirannico abbandona la nave, ma il danno è fatto
Klaus Schwab, il volto oscuro del World Economic Forum (WEF) e architetto di un’agenda globalista che ha soffocato le libertà dei popoli per decenni, ha finalmente annunciato le sue dimissioni lunedì 21 aprile 2025. A 87 anni, il “grande burattinaio” di Davos, come molti lo definiscono, ha dichiarato: “Dopo il mio recente annuncio e l’ingresso nel mio 88º anno, ho deciso di dimettermi dalla posizione di Presidente e membro del Consiglio di Amministrazione, con effetto immediato”. Una mossa che puzza di fuga, dopo che il Consiglio di Amministrazione del WEF, in una riunione straordinaria il 20 aprile, ha accettato la sua resa, nominando il Vice Presidente Peter Brabeck-Letmathe come Presidente ad interim. Ma non illudiamoci: Schwab potrà anche lasciare il timone, ma il mostro che ha creato – un’organizzazione che ha tramato per decenni contro la sovranità dei popoli – è ancora vivo e vegeto.
Schwab, fondatore del WEF nel 1971, non è stato altro che il profeta di un’ideologia totalitaria mascherata da progresso: il “capitalismo degli stakeholder”, un eufemismo per un sistema in cui le élite globaliste decidono il destino di miliardi di persone, bypassando la democrazia. Sotto la sua guida, il WEF è diventato il simbolo di un potere arrogante e non eletto, un club esclusivo di miliardari e burocrati che, da Davos, hanno imposto al mondo politiche disastrose: dall’immigrazione incontrollata alla sottomissione economica, fino al famigerato “Great Reset”, un piano per resettare le società secondo i loro capricci, riducendo i cittadini a pedine senza diritti. Schwab non è un semplice tecnocrate: è il volto di un’ideologia che odia la libertà, che vuole un mondo senza confini, senza identità, senza resistenza. E ora, dopo aver seminato caos e divisione, se ne va, forse sperando di sfuggire al giudizio della storia.
La sua uscita, accelerata rispetto ai piani iniziali che prevedevano un passaggio di consegne entro il 2027, arriva in un momento di crisi per il WEF. La rielezione di Donald Trump negli Stati Uniti, un feroce critico delle élite globaliste, ha mandato in tilt il sistema di Davos, e il crescente scetticismo verso le istituzioni mondialiste sta erodendo il loro potere. Schwab, con le sue dimissioni, sembra voler abbandonare la nave prima che affondi, lasciando Brabeck-Letmathe a gestire un’organizzazione che molti vedono come un relitto del passato. Ma non c’è da festeggiare: il WEF ha dichiarato che continuerà la sua missione di “dialogo inclusivo”, un’espressione che nasconde la loro vera intenzione di perpetuare un controllo autoritario sulle nazioni. Il comitato per la selezione del nuovo Presidente è già al lavoro, e c’è da scommettere che troveranno un altro tiranno in giacca e cravatta per portare avanti il loro progetto di dominio globale.
Il danno, però, è già stato fatto. Per oltre 50 anni, Schwab e il WEF hanno lavorato nell’ombra per erodere la sovranità nazionale, manipolare governi e imporre un’agenda che serve solo gli interessi di una ristretta élite. Hanno favorito politiche che hanno impoverito le classi medie, aperto le frontiere al caos migratorio e schiacciato ogni forma di dissenso, mentre i loro summit di Davos erano solo un circo per celebrare la loro arroganza. Le dimissioni di Schwab non cancellano il passato, né fermano la macchina infernale che ha messo in moto. La lotta contro il WEF e il suo retaggio tossico è appena iniziata: i popoli d’Europa e del mondo devono restare vigili, perché il mostro globalista non è morto, ha solo cambiato faccia. Schwab se ne va, ma il suo sogno di un’umanità sottomessa è ancora il incubo di chi ama la libertà.
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