Rimosso su ordine del PD per avere detto che Bergoglio era l’Antipapa
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Libertà sotto attacco in Italia: criticare Bergoglio costa il lavoro al dottor Pappalardo

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È un giorno nero per la libertà in Italia. La notizia della rimozione del dottor Antonio Pappalardo, dirigente del Centro per la Giustizia Minorile dell’Emilia-Romagna e del Piemonte, è un atto di una gravità inaudita che segna un pericoloso precedente per i diritti fondamentali dei cittadini. Pappalardo, come riportato il 24 aprile 2025, è stato sollevato dal suo incarico dal Ministero della Giustizia per aver espresso sui social un’opinione critica sul defunto Papa Francesco, definendolo “antipapa che si è impossessato della Chiesa”. Questa decisione, presa con una velocità fulminea e sotto la pressione del Partito Democratico, è un attacco diretto alla libertà di pensiero, un diritto sancito dalla Costituzione italiana, e trasforma il nostro Paese in un luogo dove dissentire può costare il lavoro e la dignità.
Le riflessioni di Pappalardo: un diritto, non un crimine
Sul suo canale Telegram “Logos et Libertas”, e quindi non in ambito lavorativo, Pappalardo ha condiviso riflessioni teologiche e canoniche sulla figura di Jorge Mario Bergoglio, morto il 21 aprile 2025. Lo ha definito “antipapa”, sostenendo che la sua elezione nel 2013 fosse invalida per una presunta violazione del diritto canonico: secondo questa tesi, Benedetto XVI non avrebbe mai rinunciato al “munus” petrino, rendendo illegittima l’elezione di Francesco e, di conseguenza, le nomine degli 80 cardinali da lui creati. Questi ultimi, cloni di Bergoglio, condizionerebbero in modo illegittimo il prossimo Conclave, previsto per maggio 2025, verso scelte “bergogliane”. Pappalardo ha auspicato un Conclave composto dai cardinali del 2013, per garantire un’elezione più autentica.
Sono opinioni che si possono condividere o meno ma che ognuno ha il diritto di esprimere.
Le sue parole, espresse con rigore e continenza, non contengono insulti. Non ha chiamato Bergoglio “imbroglione”, “bugiardo” o “falsario”. Ha semplicemente condiviso un pensiero che, piaccia o meno, è sostenuto da molti, inclusi ecclesiastici di alto rango e intellettuali di fama. La tesi dell’invalidità dell’elezione di Francesco non è nuova: già nel 2014, il giornalista Antonio Socci nel libro Non è Francesco aveva sollevato dubbi simili, basandosi sulla Universi Dominici Gregis, che limita a quattro le votazioni giornaliere in Conclave (nel 2013 ce ne fu una quinta). Anche il concetto di “munus” versus “ministerium” è stato dibattuto da canonisti e teologi, che sottolineano come la rinuncia di Ratzinger potesse essere interpretata come parziale.
Un attacco alla libertà di pensiero
Pappalardo non ha offeso le istituzioni italiane, né la sua amministrazione, né altre realtà dello Stato. Ha esercitato un diritto costituzionale – l’articolo 21 garantisce a tutti di manifestare il proprio pensiero – su una questione religiosa che non dovrebbe riguardare lo Stato laico. Eppure, il Ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, ha agito con una durezza spropositata, avviando contestazioni disciplinari e rimuovendo il dirigente in meno di tre giorni. Questa rapidità è sospetta: sembra una chiara concessione alle pressioni del PD, che ha chiesto a gran voce la testa di Pappalardo, con esponenti come la senatrice Sandra Zampa che hanno definito le sue parole “allucinanti” e “offensive”.
Ma cosa c’è di offensivo in un’opinione teologica? La Chiesa stessa, nei secoli, ha conosciuto dibattiti accesi su antipapi e validità delle elezioni pontificie: basta ricordare il Grande Scisma d’Occidente (1378-1417), con papi e antipapi in lotta. Pappalardo non ha fatto altro che inserirsi in una tradizione di critica ecclesiologica, un ambito che dovrebbe essere fuori dalla giurisdizione dello Stato. La sua rimozione non è solo un abuso di potere, ma un segnale inquietante: in Italia, criticare l’ex papa – anche dopo la sua morte – comporta conseguenze professionali devastanti.
L’Italia, un luogo pericoloso per la libertà
Questo episodio rivela un’Italia sempre più ostile alla libertà di espressione. Se un dirigente pubblico, nel pieno esercizio dei suoi diritti, può essere punito così duramente per un’opinione religiosa, cosa accadrà ai cittadini comuni? Il Ministero della Giustizia, cedendo alle richieste del PD, dimostra una sudditanza politica che mina l’indipendenza delle istituzioni. La velocità dell’intervento – un’indagine avviata il 22 aprile e conclusa con la rimozione il 24 – suggerisce una volontà punitiva, non un’analisi obiettiva.
L’iniziativa ministeriale, come speriamo, si scontrerà con un muro in sede legale, se giudici onesti valuteranno il caso. Ma il danno è fatto: l’Italia si conferma un luogo pericoloso, dove dissentire da una narrazione ufficiale, anche su temi religiosi, può distruggere una carriera. La Chiesa di Francesco, con le sue aperture globaliste, ha già diviso i fedeli; ora, il governo italiano, obbedendo a logiche partitiche, reprime chi osa esprimere un dissenso teologico. È un precedente che minaccia ogni cittadino: oggi tocca a Pappalardo, domani potrebbe toccare a chiunque. La libertà di pensiero è a rischio, e il silenzio delle istituzioni davanti a questo scempio è assordante.
Il. PD vota il falso di zuppi il cardinale bergoglioniano per eccellenza la cloaca maxima della attuale curia vaticana, è si porta avanti per difendere un cretino inutile come loro..dacui avra’ man forte per portare..avanti le loro ideemassonico satanic he, perciò il. Partito dei deviati è contro chi dice la verita