Genitori pakistani impongono il burqa alla figlia: a scuola in un sacco della spazzatura

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By V aprile 19, 2025 13:23

Genitori pakistani impongono il burqa alla figlia: a scuola in un sacco della spazzatura

L’islamizzazione avanza: a Monfalcone il niqab a scuola, un attacco alla nostra civiltà. Basta con il silenzio complice, è ora di dire NO!

La denuncia di un avvocato al quale si sono rivolti per chiedere di fare da intermediario: “Se vogliono che la figlia vada a scuola dentro un sacco del pattume possono tornare da dove sono venuti”

L’Italia sta scivolando verso un baratro culturale e identitario, e l’ultimo episodio di Monfalcone è la goccia che fa traboccare il vaso. Una famiglia pakistana, con un’arroganza sconcertante, ha imposto alla propria figlia di indossare il niqab – il velo integrale che copre tutto, tranne gli occhi – anche a scuola. Non contenti, hanno avuto l’audacia di chiedere che questa pratica venga legittimata, richiamandosi al precedente di Monfalcone, dove una preside ha ceduto a simili richieste. Questo non è un caso isolato: è l’ennesimo segnale di un’islamizzazione galoppante che minaccia i nostri valori, la nostra libertà e, soprattutto, i diritti delle donne. È tempo di alzare la voce e dire basta, prima che l’Italia diventi irriconoscibile.
Un precedente pericoloso: il niqab a scuola
A denunciare l’orrore è l’avvocato Elisa Fangareggi, della fondazione Time 4 Life, che si è trovata a gestire una richiesta agghiacciante da parte di una famiglia islamica di Modena. I genitori, con una freddezza che gela il sangue, hanno chiesto assistenza per garantire che la loro figlia, in procinto di iniziare la prima media, possa frequentare le lezioni avvolta in un niqab. Il motivo? Ha avuto il ciclo mestruale, e secondo la loro visione retrograda, questo la obbliga a nascondersi al mondo. Non solo: hanno persino citato il caso di Monfalcone, dove tre ragazze sono già autorizzate a entrare a scuola coperte da capo a piedi, con tanto di “stanza per il riconoscimento” per verificarne l’identità. Un’aberrazione che sta diventando un modello, un precedente che apre la strada a richieste sempre più assurde.

L’avvocato Fangareggi, con un’umanità e un coraggio che meritano rispetto, non ha trattenuto la sua indignazione: “Se vogliono che la figlia vada a scuola dentro un sacco del pattume, possono tornare da dove sono venuti”. Una reazione che alcuni criticheranno, ma che nasce dalla consapevolezza di un’ingiustizia intollerabile: una bambina, nel 2025, in Italia, viene costretta a vivere nascosta, privata della sua identità, della sua voce, della sua dignità. E tutto questo in nome di una religione che, in troppi casi, si traduce in oppressione.

Un attacco ai diritti umani e alla nostra cultura
Questa vicenda non è solo una questione di “costume culturale”. È un attacco frontale ai diritti umani fondamentali, a partire da quelli delle donne. Come può una ragazzina, coperta da un niqab, interagire con i compagni, esprimersi, apprendere in un ambiente come la scuola, che dovrebbe essere il luogo della crescita e della libertà? I genitori, con un cinismo sconcertante, hanno dichiarato che “non è necessario che la figlia comunichi” e che va a scuola solo perché è obbligatorio. Parole che rivelano una mentalità incompatibile con i valori della nostra società: per loro, l’istruzione non è un diritto, ma un’imposizione da piegare alle loro regole oscurantiste.
E poi c’è la frase che fa rabbrividire: “A Monfalcone sono in tre, dobbiamo essere di più”. È un manifesto, una dichiarazione di intenti. Non si tratta di un caso isolato, ma di una strategia deliberata per imporre pratiche che umiliano le donne e sfidano apertamente la nostra civiltà. L’islamizzazione non è un’ipotesi remota: sta accadendo ora, sotto i nostri occhi, mentre le istituzioni tacciono e le femministe, tanto pronte a gridare per inezie, si voltano dall’altra parte, paralizzate dal dogma del multiculturalismo.
Dove sono i servizi sociali? Dove sono le istituzioni?
L’avvocato Fangareggi pone una domanda che brucia: dove sono i servizi sociali? Quelli che intervengono con zelo per un disegno frainteso o una merendina scaduta, dov’erano quando una bambina è stata condannata a vivere imprigionata in un niqab? Perché nessuno interviene per proteggere queste giovani, costrette a subire l’oppressione dei genitori in nome di una religione che, in questo contesto, diventa una giustificazione per l’abuso? La risposta è semplice: la paura di essere tacciati di razzismo ha paralizzato la nostra società. Ma il vero razzismo è lasciare che queste ragazze siano private della loro libertà, della loro infanzia, della loro dignità, solo per non “offendere” una cultura che non ha alcun diritto di imporci le sue regole.

L’Italia non può diventare un Paese dove le bambine vanno a scuola coperte da un velo integrale, controllate in “stanze per il riconoscimento” come se fossero criminali. Non possiamo accettare che la scuola, il luogo della conoscenza e dell’emancipazione, diventi un’arena per pratiche che appartengono a un’altra epoca. Monfalcone non è un’eccezione: è l’inizio di una deriva che, se non fermata, si diffonderà come un cancro in tutto il Paese.

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È ora di dire basta: stop all’islamizzazione
Non possiamo più permetterci il lusso dell’indecisione. L’islamizzazione dell’Italia è una realtà, e ogni cedimento, ogni compromesso, ogni silenzio complice ci avvicina al punto di non ritorno. Non si tratta di intolleranza, ma di sopravvivenza: dobbiamo difendere la nostra identità, i nostri valori, il nostro futuro. Le richieste come quelle di Monfalcone e Modena non sono “diritti”, ma imposizioni che minano le fondamenta della nostra società. Una bambina costretta a indossare il niqab non è libera, non è rispettata, non è protetta. È una vittima, e noi stiamo fallendo nel nostro dovere di salvarla.

Le istituzioni devono agire con fermezza: vietare il niqab nelle scuole, rafforzare i controlli sui nuclei familiari che impongono pratiche oppressive, espellere chi rifiuta di rispettare le nostre leggi. E soprattutto, dobbiamo smettere di giustificare l’ingiustificabile in nome del multiculturalismo. L’Italia non è una terra di conquista, e le nostre figlie non sono pedine da sacrificare sull’altare della tolleranza malintesa.

Il grido dell’avvocato Fangareggi è il grido di tutti noi: “Non riesco a pensare che nel mio Paese possa essere legittimo obbligare una bambina ad andare a scuola totalmente coperta”. È ora di svegliarci, di reagire, di combattere. Perché se non lo facciamo ora, domani potrebbe essere troppo tardi. L’islamizzazione avanza, ma noi possiamo ancora fermarla. Diciamo NO, forte e chiaro, prima che l’Italia perda se stessa per sempre.

Genitori pakistani impongono il burqa alla figlia: a scuola in un sacco della spazzatura ultima modifica: 2025-04-19T13:23:45+00:00 da V
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By V aprile 19, 2025 13:23
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1 Comment

  1. S.C. aprile 19, 15:13

    Se si rivolgono a una società che gestisce i rifiuti I sacchi sono gratis. Tanto non c’è differenza con quello che fanno indossare alle loro donne. Religione stupida ignorante ottusa, ancor di più quelli che la seguono.

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