“Estremisti xenofobi”, scriveva Li Gotti che vuole sciogliere la democrazia nell’acido
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Spuntano in rete vecchi tweet dell’avvocato ed ex politico di sinistra che ha presentato denuncia contro il governo per il caso di Osama Almasri
“In merito alla vicenda del generale libico Almasri ‘ho ritenuto che potevano configurarsi un paio di reati e quindi di fronte alle palesi disinformazioni date dal governo ho deciso di presentare come cittadino questa denuncia. Ho fatto una scelta giudiziaria’. E ancora: ‘Io sono un comune cittadino, non posso chiedere dimissioni. Ho visto che c’erano aspetti di possibile reità e ho fatto una denuncia’.” Queste sono le parole di Luigi Li Gotti a Radio 24 per motivare la denuncia contro mezzo governo in relazione al caso del rimpatrio del cittadino libico Almasri. Ma senza la complicità della toga anti-Salvini, questa denuncia sarebbe stata inutile, un semplice gesto di protesta senza alcun effetto concreto.
Li Gotti rincara la dose: “Su Almasri troppe bugie, hanno liberato un boia.” Il sospetto di una motivazione politica dietro questa denuncia è forte. Basti pensare al curriculum politico dell’avvocato calabrese: dopo la militanza nell’Msi e in Alleanza nazionale, la svolta nell’Italia dei Valori con Di Pietro e la nomina a sottosegretario alla Giustizia nel governo di sinistra guidato da Romano Prodi. Insomma, non è esattamente un profilo vicino al governo guidato dalla Meloni. Ma c’è anche l’attività social di Li Gotti a creare qualche perplessità: negli ultimi anni non ha lesinato critiche e attacchi feroci all’attuale premier e ai suoi alleati.
Da Prodi ai boss pentiti: chi è Luigi Li Gotti, l’avvocato dietro le accuse a Meloni
C’è un filo sottile che lega Luigi Li Gotti, l’avvocato che con la sua denuncia ha fatto finire sotto inchiesta mezzo governo, allo Stato profondo, quello che non appare negli articoli della Costituzione, e che a volte conta più di quello ufficiale. È una rete di apparati, di amicizie, di interessi comuni, di incarichi, che dà la spiegazione di molte carriere. Come quella di Li Gotti, che da un borgo selvaggio come Mesoraca, perso tra i monti della Sila, arriva alla ribalta parlamentare, e ora a mettere a segno il primo colpo giudiziario contro il governo di centrodestra.
In mezzo, nella biografia di Li Gotti, c’è di tutto: il padre federale fascista, la gioventù nel Movimento Sociale, negli anni ruggenti della ribellione di Reggio Calabria, con i «boia chi molla» di Ciccio Franco a mettere a fuoco la città; e poi la laurea, la toga, i processi di mafia, la love story con Antonio Di Pietro, un altro che – ingiustamente, senza prove – è stato accusato di essere decollato da Montenero di Bisaccia con la benedizione del deep State. Il colpo di fulmine tra i due porta la data del 2001, ed è intenso nonostante i due partano da posizioni distanti: Di Pietro è l’unico a votare contro la legge che faceva uscire di cella i mafiosi pentiti, Li Gotti è l’avvocato del più crudele tra i beneficiari dell’innovazione, Giovanni Brusca. Quello del bambino nell’acido e del telecomando di Capaci.
A difendere un pentito di mafia si può capitare per caso. A difendere uno come Tommaso Buscetta, come Brusca, come un’altra schiera di «collaboranti», si arriva solo se si hanno buoni rapporti con il servizio centrale di protezione, con gli angeli custodi degli «infami». Ma la carriera di Li Gotti accanto allo Stato inizia ancora prima, quando – iscritto da pochi anni all’albo degli avvocati – assiste come parte civile i familiari della scorta di Aldo Moro, trucidata in via Fani. Nel collegio difensivo ci sono veterani della toga come Guido Calvi e Odoardo Ascari, e poi lui, il giovane e sconosciuto avvocato calabrese.
Da lì in poi, è un crescendo. È accanto alla famiglia di Luigi Calabresi nel processo agli assassini del commissario milanese (Adriano Sofri, principale imputato, gli diede del «teppista» e lo accusò di essersi «coperto d’infamia» nel corso delle udienze; Li Gotti sporse querela). E poi altri pentiti, altri poliziotti, sempre con la parcella a carico dello Stato. Battaglie giuste, battaglie scomode, come quando difende i poliziotti processati a Genova per il G8.
L’ascesa politica è parallela e speculare alla carriera legale, la prosecuzione con altri mezzi della stessa battaglia. Il cursus honorum è un lampo: responsabile giustizia dell’Italia dei Valori, senatore, sottosegretario alla Giustizia, convivenza non facile col ministro, Clemente Mastella, e soprattutto con l’altro vice, Luigi Manconi, già compagno di Adriano Sofri. Lui, Li Gotti, va per la sua strada, manettaro con i giornalisti, garantista con gli assassini redenti, si indigna se riarrestano il pentito Spatuzza, festeggia le condanne di Berlusconi, strizza l’occhio al grillismo nascente. Ma soprattutto resta fedele alla Procura di Palermo del decennio scorso, quella del suo grande amico Antonio Ingroia, quella che tanti clienti gli ha procurato, e alle sue teorie più ardite: come l’inesistente trattativa Stato-Mafia, l’indagine che porta a intercettare persino il presidente della Repubblica. Li Gotti che invece che con i pm se la prende con Napolitano, il presidente intercettato.
D’altronde anche quella inchiesta è un pezzo di Stato contro un pezzo di Stato, e in quei veleni l’avvocato di Mesoraca sa muoversi bene, lucido, efficace, intelligentissimo, amato e riamato dai giornalisti di giudiziaria, sempre pronto a offrire alle cronache un titolo che si fa leggere. Questa volta, va detto, ha superato se stesso.
Vox, la spiego brevemente: Calabria => ‘ndrangheta => cosca massonica di Lugano => cosca massonica calabrese => accesso ai dati sensibili degli appalti di stato senza che nessuno sappia che il faccendiere è un massone e vincerà la gara d’appalto grazie all’obbligo dei fratelli che riceveranno il 10% dell’affare..
Tutto è possibile presentandosi a Lugano con 500.000 Euro da donare alla loggia “il dovere” e altri 500.000 da investire che nel giro di un anno frutteranno un milione tondo.
Basta mettere su un ufficio, comprare a credito arredamento, un paio di auto di rappresentanza in leasing pagando solo la prima rata e poi attribuendosi un lauto stipendio a cinque cifre mensili.
Dopo sei settimane ci si mette in malattia ottenendo l’80% dello stipendio, si rivendono sottobanco i mobili e le auto, si incassa e si scappa a casa, dove si potrà accedere alle riunioni massoniche in quanto “fratelli iscritti altrove”, quindi non registrati e dunque sconosciuti a chi deve controllare.
Il sistema è lo stesso dei golf club: se sei iscritto ad un club diciamo albanese puoi accedere a quelli americani presentando la tessera e viceversa, se invece provi ad iscriverti direttamente là ti rifiutano perchè nessuno garantisce per te.
E si credono intelligenti e capaci di elevati pensieri per migliorare l’esistenza umana… ma andate affanculo.
NB: se qualcuno ha letto e pensa di venire qui a Lugano a rifare lo scherzetto sappia che lo tratterò come un baluba qualsiasi, a bastonate…