**Lucia Serena Rossi: Un’Ombra di Sinistra sulla Sovranità Nazionale**
La sua nomina, voluta dal governo Gentiloni, porta in primo piano un fatto che molti cittadini e commentatori vedono come l’ennesimo episodio di ingerenza: una toga rossa che, ancora una volta, interviene per limitare le decisioni sovrane dell’Italia.
Il 4 ottobre, la Corte, con Rossi tra i giudici, ha delineato le linee guida sui rimpatri dei migranti clandestini, una decisione che non può essere vista semplicemente come giuridica, ma che ha profonde implicazioni politiche. Questa decisione è arrivata in un momento in cui l’opinione pubblica italiana è sempre più critica verso quelle figure giudiziarie che, nominate da governi di sinistra, sembrano agire più in accordo con ideologie politiche che con l’interesse nazionale.
La presenza di Rossi in questa corte solleva questioni più ampie sulla neutralità delle istituzioni giudiziarie europee e sulla loro capacità di influenzare, se non dirottare, le politiche nazionali. È l’ennesima dimostrazione, per chi la vede così, di come la sinistra utilizzi la toga per imporre una visione del mondo che spesso collide con il desiderio di autonomia e autodeterminazione dei popoli europei.
Mentre i tecnicismi legali possono nascondere le sottili manipolazioni politiche, l’elefante nella stanza rimane: la nomina di giudici con spiccate tendenze politiche può alterare il corso di una nazione, mettendo in forse la sua sovranità. Con Rossi, vediamo non solo un giudice, ma il simbolo di un sistema dove la giustizia e la politica si mescolano pericolosamente, minando la fiducia del pubblico nella neutralità delle istituzioni.
Ricordiamo che la sentenza della corte Ue impone di non considerare sicuri i paesi che hanno anche una piccola regione non sicura. Ad esempio, siccome il ‘molise’ nigeriano non è sicuro, allora non possiamo rimandare i nigeriani in Nigeria. Delirante come i magistrati rossi.
La “manina” in Corte di giustizia
La “manina” in Corte di giustizia
Magari è una coincidenza, ma nello stravagante e cruento campo di battaglia tra politica e giustizia le coincidenze sono sempre state poche. Sta di fatto che nella seduta della Corte di giustizia europea del 4 ottobre scorso, quella che ha stabilito le linee guida sui paesi in cui i migranti clandestini possono essere rimpatriati dagli Stati europei, era presente come giudice Lucia Serena Rossi, un’insigne giurista nominata in quel ruolo dal governo di Paolo Gentiloni.
È stata l’ultima seduta per lei in Lussemburgo, visto che due giorni dopo ha terminato il suo mandato e al suo posto è subentrato Massimo Condinanzi, nominato dal governo Meloni. Una sorta di canto del cigno, visto che quella sentenza, presa a riferimento appena 12 giorni dopo dalla sezione immigrazione del Tribunale di Roma, ha fatto scoppiare in Italia una mezza tempesta e ha riacceso nuovamente lo scontro tra potere politico e giudiziario.
Lucia Serena Rossi ha un notevole curriculum: è professoressa ordinaria di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Bologna e ha ricoperto ruoli di visiting professor alla Sorbona e non solo. La decisione della Corte di giustizia europea non è stata presa venti giorni fa, ma ha avuto qualche mese di incubazione. Rossi si è occupata spesso di legislazione europea e immigrazione, e ha dato il suo contributo alla sentenza del 4 ottobre.
La sentenza europea emessa in Europa sembra essere stata tagliata su misura per rendere inutile il centro aperto dal governo italiano a Gjader in Albania. Se non puoi autorizzare rimpatri, a che serve un centro per i rimpatri? Al massimo a creare i presupposti per cui l’opposizione può denunciare l’attuale esecutivo alla Corte dei Conti per spreco di denaro pubblico.
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