Francesco muore ammazzato da ‘nuovi italiani’ dopo 11 giorni di agonia
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⚠️ Un’altra giovane vita sulla coscienza dei sostenitori della società multiculturale
Treviso, dopo 10 giorni di agonia, è morto il 22enne Francesco Favaretto, il quale è stato picchiato e accoltellato da una gang di stranieri e seconde generazioni di età compresa tra i 16 e i… pic.twitter.com/5DyKgNEj6G
— Francesca Totolo (@fratotolo2) December 23, 2024
Un’Altra Giovane Vita Sulla Coscienza dei Sostenitori della Società Multiculturale
Treviso si è svegliata con una ferita che non si rimarginerà facilmente. Dopo 11 giorni di agonia, Francesco Favaretto, un giovane di soli 22 anni, ha esalato l’ultimo respiro. La sua colpa? Essere nato e cresciuto in un’Italia che ha abbracciato con troppa leggerezza il concetto di società multiculturale. Francesco è stato barbaramente picchiato e accoltellato da una banda di stranieri e seconde generazioni, con età che vanno dai 16 ai 20 anni.
È tempo di dire basta a questa retorica del “tutti uguali”, a questa farsa che ci fa credere che l’integrazione sia un processo naturale e pacifico. Francesco è solo l’ultima vittima di una politica migratoria che ha fallito, di un sistema che ha preferito ignorare i segnali di allarme per non sembrare razzista o intollerante. La realtà è che questi giovani, cresciuti in un contesto spesso privo di valori, di educazione civica, e talvolta persino di un’adeguata supervisione genitoriale, sono diventati una minaccia per la nostra comunità.
La gang che ha messo fine alla vita di Francesco non è un’anomalia; è il prodotto di un’integrazione fallita, di un sistema che ha accolto con troppa facilità chi non ha dimostrato di voler rispettare le nostre leggi, la nostra cultura, e la nostra civiltà. Questi giovani non sono integrati; sono gruppi che hanno portato con sé le peggiori abitudini dei loro paesi d’origine, senza assimilare i valori della società che li ha accolti.
Ogni morte come quella di Francesco è una macchia sulla coscienza di chi ha promosso e continua a promuovere un’immigrazione senza controllo, senza criteri, senza valutazioni sulla reale capacità di integrazione. È un pugno nello stomaco per chi ha creduto che l’accoglienza indiscriminata avrebbe portato a una società più ricca e variegata, quando invece ha generato caos, criminalità e tragedie.
È ora di svegliarsi, di aprire gli occhi alla verità: l’immigrazione di giovani che non hanno la volontà o i mezzi per integrarsi non è una risorsa, ma un pericolo. Bisogna smettere di ignorare i problemi, di nascondere la testa sotto la sabbia, di giustificare con il multiculturalismo ciò che è inaccettabile. Francesco non è morto per una rissa; è morto per le politiche fallimentari che hanno permesso a una gang di stranieri e seconde generazioni di agire impunemente.
Il sangue di Francesco Favaretto dovrebbe essere una sveglia per tutti noi. È il momento di ripensare radicalmente le politiche migratorie, di mettere al primo posto la sicurezza dei nostri giovani, di chiudere le porte a chi non ha intenzione di rispettare le nostre leggi o di adattarsi alla nostra società. Basta con il buonismo che uccide, basta con la tolleranza che si trasforma in tragedia. La memoria di Francesco merita giustizia, e giustizia significa cambiamento.
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