Milano, italiani a scuola con la scorta per non essere picchiati dai maranza di Sala
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Allarme baby gang a Milano, due genitori: “I nostri figli picchiati senza un perché da venti immigrati. Ora li scortiamo sempre”. L’aggressione risale al 7 febbraio all’Arco della Pace. Cinque quindicenni vengono accerchiati e pestati dal branco di nordafricani. Uno ha riportato un’emorragia alla testa: “È ancora scioccato”.
Ve ne abbiamo già parlato, la storia si ripete, come un disco rotto che nessuno vuole fermare. Sabato 7 febbraio 2025, all’Arco della Pace, nel cuore di Milano, una baby gang ha aggredito cinque ragazzi di 15 anni, compagni di scuola, senza motivo. Un copione tristemente noto: una ventina di giovanissimi, descritti come “di origine straniera” – i soliti maranza, per dirla chiara – hanno accerchiato le loro prede, chiesto una sigaretta come pretesto, e poi scatenato l’inferno. Un labbro spaccato, un volto tumefatto, ecchimosi ovunque per uno; un’emorragia alla testa per un altro, colpito con un casco e una bottiglia di vetro, con una prognosi di 30 giorni. Poteva finire in massacro, e la domanda che brucia è: quanto ancora dovremo aspettare perché accada?
I genitori dei ragazzi, Maria Cristina e il padre del suo amico, non nascondono la disperazione. “Vorremmo che i nostri figli tornassero a una vita normale. Ma è dura. Siamo terrorizzati: ora li accompagniamo e li andiamo a riprendere per qualunque uscita serale. Non potrebbe essere diversamente dopo quello che abbiamo passato”. Parole che pesano come macigni, perché raccontano una città dove i ragazzini italiani non possono più muoversi liberamente. Oggi, a Milano, andare a scuola o uscire con gli amici significa farlo sotto scorta, come in un film distopico. “La vita ci è cambiata”, dice il padre. “Non si è al sicuro neanche nelle zone centrali”. E ha ragione: l’Arco della Pace, simbolo della movida, è diventato un campo di battaglia.
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I fatti sono agghiaccianti nella loro banalità. Alle 23:00, dopo una serata tranquilla, i cinque salutano delle coetanee e si preparano a tornare a casa. Poi, il branco: “Hey bro, hai una sigaretta?”. Un “no” educato, e parte la violenza. Non era una rapina – il giubbotto di uno dei ragazzi è stato solo un trofeo mancato – ma un’esplosione di brutalità gratuita. “Colpisce l’efferatezza”, dice Maria Cristina. “E se avessero avuto un coltello?”. La risposta la conosciamo: a Magdeburgo, Aschaffenburg, Monaco, gli immigrati con precedenti hanno usato lame e auto, lasciando morti e feriti. Qui, per ora, “solo” bottiglie e caschi. Ma il confine è sottile.
La polizia ha ricevuto la denuncia, le famiglie si sono appellate al Consiglio comunale e al sindaco. “Perché non c’era una pattuglia fissa?”, chiede Maria Cristina in una lettera accorata. Domanda lecita, ma la verità è più dura: i controlli non bastano più. Puoi mettere una pattuglia a ogni angolo, ma i maranza tornano, sempre gli stessi, sempre più sfacciati. La soluzione non è aumentare le telecamere o le volanti: è ridurre il problema alla radice. Meno immigrati, meno baby gang. Punto. Ogni episodio – dal filobus 91 al Calvairate al massacro dell’Arco della Pace – grida la stessa evidenza: la sicurezza non si difende con le chiacchiere, ma con i numeri. Meno ingressi, più rimpatri.
I genitori lo sanno: “Abbiamo fatto una doccia fredda di consapevolezza”. Ma la politica? Meloni ha promesso sicurezza, e ora deve dimostrare di non essere solo parole. Perché i ragazzini italiani meritano di vivere senza scorta, senza paura, senza il terrore di una bottiglia in testa per un “no” a una sigaretta. Altrimenti, la “normalità” di cui parlano Maria Cristina e gli altri resterà un sogno lontano, soffocato dal sangue e dalla rabbia. Quanto ancora dovremo aspettare?
Invece di includerli provate ad escludere i baluba a calci in culo…