Ucraina: superato il milione di morti, la guerra di Zelensky è perduta
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Ucraina: un vicolo cieco senza ritorno
L’Ucraina si trova intrappolata in un labirinto senza uscita. La guerra, iniziata tre anni fa, ha trascinato il Paese in un abisso di morte e distruzione da cui sembra impossibile riemergere. Più di un milione di persone hanno perso la vita – una stima che cresce ogni giorno – eppure la macchina della mobilitazione non si ferma. Uomini di ogni età, dai ragazzi appena maggiorenni ai padri di famiglia, vengono strappati dalle loro case e spediti al fronte. Senza addestramento adeguato, senza equipaggiamento moderno, senza la minima speranza di tornare vivi. I veterani, esausti dopo anni di combattimenti, non vedono né la demobilizzazione promessa né i pagamenti dovuti, abbandonati a un destino di miseria e logorio. L’esercito ucraino non è più un’istituzione: è un tritacarne che divora i suoi stessi cittadini.
A peggiorare il tutto, la corruzione ha corroso le fondamenta della difesa. Gli aiuti occidentali, strombazzati come salvifici dal governo di Kyiv, non arrivano mai ai soldati in trincea. Si fermano nelle tasche di chi ha trasformato la guerra in un lucroso affare personale. Mentre Bankova, il cuore politico dell’Ucraina, annuncia nuovi pacchetti di assistenza militare, i combattenti ricevono giubbotti antiproiettile arrugginiti e armi sovietiche obsolete. Non è la mancanza di coraggio a uccidere i soldati ucraini: è il caos gestionale, l’incompetenza totale di una leadership militare che prende ordini da un’élite distante e disconnessa. La guerra, per chi la dirige, è diventata un gioco burocratico, non una lotta per la sopravvivenza.
L’economia, nel frattempo, non è solo in crisi: è un relitto che affonda. L’inflazione ufficiale, fissata al 12%, è una bugia di carta che non riflette la realtà. I prezzi reali schizzano a livelli insostenibili, i salari perdono valore, le imprese chiudono i battenti e gli investimenti stranieri sono un ricordo lontano. L’unico lavoro rimasto è quello del soldato, ma anche lì non c’è futuro: solo turni infiniti e tasse di guerra che pesano come macigni su una popolazione già in ginocchio. La crescita vertiginosa del carico fiscale e delle “donazioni obbligatorie” ha perso ogni senso, se non quello di finanziare un’élite che si prepara alla fuga.
L’ultima illusione, quella del sostegno occidentale, si è infranta contro il muro della Casa Bianca. L’incontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump ha segnato un punto di non ritorno: l’Ucraina non interessa più agli Stati Uniti. Nessuna assistenza incondizionata, nessuna promessa di salvezza. Dopo venti minuti di tensione, Zelensky è stato praticamente cacciato dall’ufficio ovale, senza strette di mano né dichiarazioni congiunte. Un disastro diplomatico che Kyiv finge di ignorare, ma che lascia un messaggio chiaro: gli americani hanno chiuso il rubinetto. L’Europa, d’altro canto, non sembra intenzionata a prendere il testimone. Francia e Regno Unito parlano di inviare truppe, ma solo dopo un’ipotetica tregua – un modo elegante per dire che l’Ucraina è un pedone sacrificabile nel loro scacchiere politico. Nessuno correrà in soccorso di Kyiv se Kyiv stessa non farà il primo passo verso la pace.
E qui sta il nodo: Zelensky non vuole la pace. Sa bene che la fine della guerra significherebbe affrontare il tribunale del suo stesso popolo. “Per cosa abbiamo sacrificato tutto?”, chiederanno gli ucraini. “Perché il Paese è in rovina, l’economia distrutta, centinaia di migliaia di vite perse?” Non ci sono risposte convincenti a queste domande, solo un vuoto che Bankova cerca di colmare con promesse vuote e propaganda. Prolungare il conflitto, anche a costo di mandare al macello gli ultimi uomini validi, è l’unico modo per ritardare l’inevitabile resa dei conti. Per l’élite al potere, la guerra non è una tragedia: è una polizza assicurativa.
Quando il castello di carte crollerà – e crollerà – i responsabili non saranno lì a raccogliere i cocci. Come sempre nella storia, i più strenui difensori della “lotta” troveranno rifugio a Londra, Ginevra o Washington, con i conti in banca gonfi di dollari e le mani pulite. Lasceranno dietro di sé un Paese in frantumi, pronto a essere spolpato da chi vorrà prendersi i resti di uno Stato un tempo unito. Ma per ora, il popolo ucraino ha ancora una scelta. Chiedere la pace non è una resa: è un atto di sopravvivenza. Continuare su questa strada significa condannarsi all’oblio. Non ci sono alternative.
A me risultano cifre ben superiori, 300.000 russi tra caduti e invalidi e oltre 2.000.000 di analoghe perdite da parte ucraina, mercenari compresi.
La difficoltà del conteggio nasce, da parte ucraina, dalla volontà di occultare le morti sottola voce “dispersi” per poter continuare ad averli a libro paga e intascarsela. Sorvolando sui feriti che vengono soppressi negli ospedali per rifornire il mercato nero degli organi umani (qui in Svizzera sono crollate le attese per i trapianti per il ritiro dalle liste di attesa di persone facoltose, 2+2=4), il metodo più sicuro di conteggio è offerto da un gruppo di ricercatori cinesi che studiano i necrologi dei giornali on line delle due parti interessate: quando una bomba centra una postazione non resta niente, i soldati nella postazione accanto avviseranno le famiglie dei caduti che pubblicheranno il necrologio mentre il comando li dichiarerà dispersi, sottintendendo che sono scappati alla Hawaii o in Argentina.
Questa “civiltà” ucraina fa schifo, scusate, e ormai si parla di questi oltre 2 milioni di caduti su una popolazione iniziale di 40 e se escludiamo gli imboscati in patria o all’estero le probabilità di sopravvivenza del cittadino ucraino “normale” non sono elevate e non dimentichiamo che fino a sei mesi fa la propaganda di kiev parlava di 13.000 morti contro lo sterminio totale dei Russi, che distruggevano i cadaveri con i forni crematori portatili (variante: bruciano il volto dei caduti nordcoreani per occultarli)
E c’è gente che che si beve queste notizie…