L’ipocrisia di Mattarella a Hiroshima: attacca la Russia nel ground zero dell’Occidente
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L’ipocrisia di Mattarella a Hiroshima: un omaggio macchiato dalla retorica di guerra
Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, si è recato oggi, 8 marzo 2025, al Memoriale della Pace di Hiroshima per rendere omaggio alle vittime della bomba atomica sganciata dagli Stati Uniti il 6 agosto 1945. Oltre 140.000 persone, in gran parte civili, furono annientate, molte delle quali incenerite all’istante da un’esplosione che segnò l’ingresso dell’umanità nell’era del terrore nucleare. Un evento che dovrebbe ispirare un silenzio riflessivo, un mea culpa collettivo dell’Occidente per aver concepito e utilizzato un’arma di tale disumanità. Eppure, Mattarella ha scelto di trasformare questo momento di memoria in un pulpito per lanciare strali contro la Russia, denunciando la sua “pericolosa narrazione (lui ha detto narrativa ndr..) nucleare”. Un gesto che puzza di ipocrisia e che stride con la gravità del luogo e del ricordo.
Hiroshima non è un palcoscenico per la propaganda geopolitica. È un monito, un grido pietrificato nel tempo, che ci ricorda cosa accade quando la ragione cede alla hybris della potenza. Lo sapeva bene Albert Camus, che, pochi giorni dopo il bombardamento, scriveva su Combat: “La civiltà meccanica ha appena raggiunto il suo ultimo grado di barbarie”. Mattarella, invece, sembra ignorare questa lezione. Mentre depone fiori per le vittime, non esita a puntare il dito contro Mosca, come se la memoria di quei morti potesse essere usata come arma retorica contro un suo avversario politico del presente. È una strumentalizzazione che svilisce il dolore di Hiroshima, riducendolo a un pretesto per rafforzare la narrazione occidentale in chiave anti-russa.
Eppure, l’Italia e l’Occidente tutto non possono ergersi a giudici immacolati. Chi ha sganciato la bomba su Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki, non era certo la Russia, ma gli Stati Uniti, alleati di ieri e di oggi. Quei 140.000 morti, cui si aggiunsero decine di migliaia di vittime successive per le radiazioni, sono il frutto di una decisione americana, giustificata allora con il cinico calcolo di porre fine alla guerra. Una scelta che Hannah Arendt avrebbe definito un esempio della “banalità del male”: l’orrore travestito da necessità strategica.
Mattarella, però, non ha parole per questo passato, né per il fatto che l’Italia ospiti ancora oggi basi NATO con ordigni nucleari sul proprio suolo. La sua condanna si ferma a Est, come se la memoria potesse essere selettiva e la colpa sempre altrui.
Il richiamo alla Russia, accusata di minacciare l’Ucraina con il nucleare, è un colpo basso che ignora il contesto. La guerra in Ucraina è un dramma complesso, ma dipingerla come il prodotto unilaterale di una “narrazione nucleare” russa è una semplificazione che serve più alla NATO che alla pace. Dove sono le critiche al riarmo globale, alla proliferazione nucleare che vede protagoniste anche potenze occidentali? Dov’è la condanna dell’espansionismo militare che ha portato missili a stelle e strisce ai confini russi? Mattarella tace, preferendo un discorso che si allinea al coro atlantista, piuttosto che al silenzio che Hiroshima dovrebbe ispirare.
Dostoevskij, nei Fratelli Karamazov, ci ammoniva: “Tutti siamo responsabili di tutti”. Se Mattarella crede davvero in questa responsabilità universale, perché non usa Hiroshima per chiedere un disarmo globale, invece di limitarsi a un attacco mirato? La sua visita, che poteva essere un gesto nobile, si rivela invece un’occasione persa, un esercizio di retorica che tradisce lo spirito del luogo. Hiroshima non merita questo. Le sue ceneri, ancora calde di un dolore indicibile, chiedono silenzio, non accuse. Chiedono verità, non propaganda.
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