Si indaga sulle ronde anti-maranza: vietato picchiare i rapinatori stranieri
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Essenzialmente verranno indagati per ‘odio razziale’. Mentre chi ha accoltellato il capotreno è già libero di rifarlo. E’ proprio per queste cose che noi italiani siamo incazzati. Intanto avete notizie degli stupratori di Capodanno? No, li troveranno a Pasqua del duemilamai.
Ronde anti-maranza a Milano: lo Stato si sveglia solo per i “giustizieri”

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Gli stessi che non arrestano i criminali, che lasciano scippi, rapine e molestie impuniti o puniti con pene ridicole, ora si muovono a tempo di record. Non per fermare le bande che terrorizzano i cittadini, ma per indagare su chi ha deciso di reagire, magari in modo estremo. A Milano, dopo la diffusione di un video che mostra il pestaggio di un presunto rapinatore nordafricano, le autorità hanno aperto un’inchiesta sulle cosiddette ronde anti-maranza, organizzate dal gruppo “Articolo 52”.
Era matematico. Un paradosso che sa di beffa: mentre i delinquenti seriali girano liberi, spesso rimessi in circolazione dopo poche ore, lo Stato sembra trovare energia e risorse solo quando si tratta di colpire chi, esasperato, si fa giustizia da solo.
Il filmato, girato in zona Darsena e diventato virale sui social, mostra un giovane nordafricano accusato di furto, circondato e picchiato da un gruppo di ragazzi incappucciati. «Ci avete rotto il cazzo, pensavate che stavamo tutti zitti?» urla uno degli aggressori mentre calci e pugni si abbattono sulla vittima. Il gruppo, che si autodefinisce “Movimento anticrimine”, non nasconde le sue intenzioni: «Finché lo Stato e la magistratura corrotta ignoreranno questa situazione, le ronde si moltiplicheranno». Un messaggio chiaro, accompagnato da un invito a segnalare zone a rischio e da una raccolta fondi per spray urticanti e spese legali. In poche ore, migliaia di persone si sono unite alla loro causa, segno di un malessere che le istituzioni fingono di non vedere.

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Ma la risposta dello Stato non si è fatta attendere. Le forze dell’ordine, che spesso non intervengono quando si tratta di fermare i veri criminali, hanno subito avviato indagini per identificare gli autori del pestaggio. Si parla di “giustizia fai-da-te” da condannare, di violenza inaccettabile. Eppure, la domanda sorge spontanea: dove sono queste stesse forze dell’ordine quando bande di giovani, spesso stranieri, seminano il panico nelle strade? Dove sono i magistrati che, con sentenze blande o scarcerazioni lampo, rimettono in libertà chi ha appena rapinato o aggredito? La realtà è sotto gli occhi di tutti: a Milano, come altrove, i cittadini si sentono abbandonati, traditi da un sistema che tutela più i colpevoli che le vittime.
Il caso di “Articolo 52” non è un fenomeno isolato, ma il sintomo di un’Italia allo stremo. Anni di lassismo, di politiche permissive e di buonismo ipocrita hanno creato un vuoto che qualcuno, nel bene o nel male, sta riempiendo. Non si può giustificare la violenza privata, certo, ma non si può nemmeno ignorare chi l’ha generata. Se un uomo viene pestato per aver rubato una collana, è facile puntare il dito contro i “giustizieri”. Più difficile è chiedersi perché quel furto sia solo l’ennesimo di una lista infinita, e perché chi lo commette sappia di farla franca nove volte su dieci.
Le indagini sulle ronde procedono spedite, mentre i reati di strada restano un’emergenza irrisolta. È l’ennesima dimostrazione di un paradosso tutto italiano: lo Stato si ricorda di esistere solo quando deve difendere il suo monopolio sulla giustizia, anche se quella giustizia, di fatto, non funziona più. Intanto, nei quartieri, la rabbia cresce. E con essa, la probabilità che gruppi come “Articolo 52” diventino la norma, non l’eccezione.
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