Torino, capitale della sharia: sarà vietato criticare l’islam

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By V marzo 14, 2025 19:48

Torino, capitale della sharia: sarà vietato criticare l’islam

Ayaan Hirsi Ali, ex musulmana e critica dell’Islam, nel suo libro Heretic: Why Islam Needs a Reformation Now, scrive:
“L’islamofobia è diventata il modo in cui l’Occidente si autocensura, proprio come la paura della blasfemia tiene a bada i dissidenti nei Paesi musulmani”.
Hirsi Ali assimila i due termini nel loro impatto: entrambi, dice, sono strumenti per silenziare chi osa mettere in discussione l’Islam.

Torino, capitale della sharia: il sindaco PD consegna la città all’islamizzazione

Torino – È ufficiale: la città della Mole sta per diventare il laboratorio dell’incubo islamico in Italia, e il responsabile ha un nome e un cognome: Stefano Lo Russo, il sindaco PD che sembra aver deciso di barattare la libertà dei torinesi per un pugno di voti multiculturali. La notizia, che supera di gran lunga la più cupa distopia orwelliana, è agghiacciante: Torino sarà la prima città italiana dove la sharia, la legge islamica, troverà applicazione concreta, con tanto di “reato” di blasfemia e una polizia del pensiero pronta a reprimere chiunque osi criticare l’Islam. Altro che “città aperta”: qui si apre la porta a una sottomissione senza precedenti.

Il piano, che circola tra le stanze del Comune come un segreto malcelato, è chiaro: i musulmani potranno denunciare direttamente a una sorta di “polizia islamica locale” – un’aberrazione mascherata da task force anti-islamofobia – chiunque venga accusato di offendere la loro religione. Un insulto, una vignetta, una parola fuori posto? Via con la segnalazione, e che il malcapitato si prepari a essere trascinato davanti a un tribunale del politically correct, se non peggio. È la sharia che bussa alla porta, e il PD torinese, con Lo Russo in testa, sembra pronto ad accoglierla a braccia aperte, fregandosene della laicità, della libertà d’espressione e dell’identità italiana.

Non è difficile immaginare lo scenario: un cittadino qualunque, magari un lavoratore stanco del degrado delle periferie, osa lamentarsi dell’espansione incontrollata di moschee o dell’imposizione di usanze estranee alla nostra cultura. Ecco che scatta la denuncia per “islamofobia”, un termine vago quanto basta per trasformarlo in un’arma letale contro chi dissente. E chi gestirà queste segnalazioni? Una polizia del pensiero, benedetta dal sindaco, che invece di occuparsi di sicurezza vera – rapine, spaccio, violenze – passerà il tempo a censurare i torinesi per non urtare la sensibilità di una comunità sempre più invadente. Altro che Orwell: qui siamo oltre 1984, siamo alla resa totale di una città che un tempo era simbolo di progresso e oggi rischia di diventare un califfato urbano.

L’islamizzazione di Torino non è un’ipotesi, ma una realtà che avanza sotto gli occhi di un’amministrazione cieca o, peggio, complice. Basta guardarsi intorno: le periferie trasformate in enclavi dove la legge italiana è un optional, i mercati invasi da veli e tuniche, le scuole dove i bambini italiani sono minoranza e il Natale diventa un ricordo sbiadito per non “offendere”. E ora questo: un sindaco PD che, invece di difendere i suoi cittadini, flirta con l’idea di una sharia de facto, sacrificando la libertà sull’altare del buonismo e della sudditanza culturale. Lo Russo non si limita a ignorare il dissesto delle strade o la crisi economica: no, lui va oltre, consegnando Torino a un futuro dove la blasfemia islamica sarà punita e la voce dei torinesi soffocata.
La domanda è una sola: quanto tempo passerà prima che la Mole venga sostituita da un minareto? I torinesi devono svegliarsi, perché il loro sindaco ha già scelto da che parte stare: non con loro, ma con chi sogna di imporre la sharia sotto la Mole. È un tradimento che grida vendetta, un allarme rosso per una città che rischia di perdere tutto – identità, libertà, futuro – mentre il PD applaude alla propria disfatta.

Il termine “islamofobia” viene strumentalizzato per soffocare la critica all’Islam, assimilandola a una forma di blasfemia nel contesto islamico. Di seguito alcuni intellettuali che hanno affrontato questa connessione, con un’analisi critica del loro pensiero.

1. Caroline Fourest
Caroline Fourest, giornalista e saggista francese, cofondatrice della rivista ProChoix, è una delle voci più note nel criticare il termine “islamofobia”. Nel suo lavoro, in particolare nel saggio Frère Tariq (2004) su Tariq Ramadan e nell’appello “Insieme contro il nuovo totalitarismo” (2006, noto come Manifesto dei Dodici), Fourest sostiene che “islamofobia” sia un concetto coniato dagli islamisti per “intrappolare il dibattito” e proteggere la religione da critiche laiche. Secondo lei, il termine viene usato per confondere la critica razionale dell’Islam (che lei considera legittima) con il razzismo verso i musulmani, finendo per servire come uno scudo contro ciò che nell’Islam potrebbe essere visto come blasfemia. Fourest non equipara direttamente i due concetti, ma suggerisce che l’accusa di islamofobia funzioni come un’arma per silenziare il dissenso, in modo simile a come la blasfemia viene repressa nei contesti islamici.
Citazione rilevante: “La parola ‘islamofobia’ è stata coniata dagli islamisti per volgere l’antirazzismo a vantaggio della loro lotta contro la blasfemia” (ProChoix, 2006).
2. Fiammetta Venner
Compagna di Fourest e coautrice di diversi lavori, Fiammetta Venner condivide questa visione. Nel loro libro Tirs croisés: La laïcité à l’épreuve des intégrismes juif, chrétien et musulman (2003), Venner argomenta che l’islamofobia, come costrutto, è un cavallo di Troia degli islamisti per criminalizzare ogni critica alla religione, riportandola a una logica di blasfemia. Anche qui, non c’è un’equivalenza esplicita, ma un’accusa: il termine serve a difendere dogmi religiosi come farebbe una legge antiblasfemia in un Paese islamico.
3. Pascal Bruckner
Il filosofo e saggista francese Pascal Bruckner, nel suo libro Un racisme imaginaire: La querelle de l’islamophobie (2017), attacca frontalmente il concetto di islamofobia, definendolo una “trappola ideologica”. Bruckner sostiene che l’accusa di islamofobia sia usata per zittire chi critica l’Islam, trasformando ogni dissenso in un crimine morale paragonabile alla blasfemia nei Paesi musulmani. Per lui, il termine è un’invenzione che protegge la religione da un esame critico, proprio come la sharia punisce chi offende il Profeta o Allah. La sua posizione è radicale: l’islamofobia non esiste come razzismo reale, ma è un’etichetta per soffocare la libertà di parola, in linea con la logica repressiva della blasfemia islamica.
Citazione rilevante: “L’islamofobia è un’arma di intimidazione di massa, un modo per dire: ‘Non toccate l’Islam, è sacro’” (Un racisme imaginaire).
4. Oriana Fallaci
La scrittrice italiana Oriana Fallaci, nei suoi ultimi lavori come La rabbia e l’orgoglio (2001) e La forza della ragione (2004), non usa esplicitamente il termine “islamofobia” per paragonarlo alla blasfemia, ma il suo pensiero va in quella direzione. Fallaci denuncia il multiculturalismo e l’immigrazione islamica come minacce all’Occidente, sostenendo che ogni critica all’Islam venga bollata come intolleranza per evitare di affrontarne i problemi. Nei suoi testi, emerge l’idea che chi accusa di islamofobia stia di fatto difendendo l’Islam da attacchi percepiti come blasfemi, un meccanismo che lei vede come una resa culturale. La sua retorica è più emotiva che analitica, ma il collegamento implicito è chiaro: criticare l’Islam diventa un tabù, come lo è la blasfemia nei contesti islamici.
5. Alexandre Del Valle
Il politologo francese Alexandre Del Valle, autore di Il totalitarismo islamista all’assalto delle democrazie (2002), critica l’islam politico e vede nel termine “islamofobia” uno strumento per proteggere l’espansionismo islamico. Secondo lui, l’accusa di islamofobia serve a equiparare la critica all’Islam a un’offesa religiosa, simile alla blasfemia, per bloccare ogni opposizione. Del Valle collega questo fenomeno alla taqiyya (dissimulazione islamica), suggerendo che gli islamisti usino il concetto per avanzare la loro agenda, rendendo ogni dissenso un crimine morale o legale.
Analisi critica
Non tutti questi intellettuali affermano esplicitamente che “islamofobia = blasfemia secondo l’Islam”, ma il loro pensiero converge su un punto: il termine “islamofobia” viene usato per proteggere l’Islam da critiche, in un modo che ricorda la repressione della blasfemia nei Paesi musulmani. Questa visione è contestata da altri studiosi (es. Lorenzo Declich o Vincent Geisser), che vedono nell’islamofobia una forma reale di razzismo antimusulmano, distinta dalla critica religiosa legittima. Inoltre, la blasfemia nell’Islam (come il vilipendio a Maometto o Allah) è un concetto teologico con conseguenze legali in alcuni Paesi (es. pena di morte in Pakistan), mentre l’islamofobia è un termine secolare e occidentale, spesso vago. L’equivalenza suggerita da questi autori è quindi più retorica che fattuale, mirata a denunciare una presunta censura culturale.
Conclusione
Gli intellettuali citati – Fourest, Venner, Bruckner, Fallaci e Del Valle – non dichiarano unanimemente che islamofobia e blasfemia siano la “stessa cosa”, ma sostengono che il primo termine sia usato per replicare la funzione del secondo: proteggere l’Islam da critiche, soffocando la libertà di pensiero.

Torino, capitale della sharia: sarà vietato criticare l’islam ultima modifica: 2025-03-14T19:48:55+00:00 da V
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