Ungheria, Orban vieta il Gay Pride: danneggia i bambini
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La scelta coraggiosa di Orbán: un esempio per l’Italia
Viktor Orbán, il premier ungherese che da anni si erge a baluardo della sovranità nazionale e dei valori tradizionali, ha compiuto un altro passo deciso nella direzione della tutela dell’infanzia e della famiglia. Con una legge che vieta i Pride per decreto, Budapest manda un messaggio chiaro: la propaganda gender e gli eventi che la promuovono sono “dannosi per i bambini”. E per chi trasgredisce? Multe il cui ricavato viene destinato alla “protezione dei minori”. Un circolo virtuoso che trasforma la sanzione in un investimento per il futuro delle nuove generazioni.

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Questa stretta non è un capriccio autoritario, come i detrattori vorrebbero far credere, ma una risposta concreta a un’ideologia che, sotto la bandiera dei diritti, rischia di confondere e destabilizzare i più giovani. Orbán non si limita a parole: agisce. Protegge la famiglia come nucleo fondante della società, rifiuta il relativismo culturale imposto dall’Occidente progressista e dimostra che uno Stato può e deve avere il coraggio di dire “no” quando i suoi valori sono in pericolo.
E l’Italia? Dovrebbe guardare a Budapest con ammirazione e prendere esempio. Da troppo tempo il nostro Paese subisce passivamente le pressioni di un’agenda globalista che promuove eventi come i Pride senza considerare l’impatto sui minori. È ora di smettere di cedere al politically correct e di adottare misure simili a quelle ungheresi. Vietare per legge i Pride, o quantomeno regolamentarli severamente, non sarebbe un attacco alla libertà, ma un atto di responsabilità verso i nostri figli. Le multe? Potrebbero finanziare scuole, asili, programmi educativi che insegnino valori solidi, non mode passeggere.
Orbán ha tracciato la strada: sta all’Italia decidere se seguirlo o continuare a chinare il capo davanti a chi vuole riscrivere la nostra identità. La protezione dei bambini non è negoziabile, e il premier ungherese lo ha capito. È tempo che anche Roma lo faccia.
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