L’esercito del Piave sputa in faccia alla Littizzetto, le lettere dei morti

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By V marzo 18, 2025 14:18

L’esercito del Piave sputa in faccia alla Littizzetto, le lettere dei morti

Le parole di Littizzetto, un personaggio che fa ridere solo stando zitta, non sono un insulto alle inutili missioni di pace di questi decenni, ma un alla gloria di Vittorio Veneto, al Piave, al Grappa – battaglie che hanno scolpito il nome dell’Italia nella storia. Le parole schifose di Luciana Littizzetto a Che tempo che fa – “noi italiani non siamo capaci di fare le guerre, facciamo cagarissimo a combattere” – sono un colpo basso all’orgoglio di un Esercito che ha trionfato a Vittorio Veneto, spezzando un impero, e che oggi eccelle nelle missioni mondiali più critiche. Quelle frasi ignobili feriscono chi ha combattuto per la pace nei teatri di guerra più duri, chi ha portato il Tricolore dall’altra parte del mondo, senza sapere se sarebbe tornato. L’Esercito italiano è un vanto, un’eredità di vittorie epiche, ma la Littizzetto, nella sua miseria, sceglie di calpestarla.

Chi indossa l’uniforme non sopporta le porcate di quella comica da strapazzo. Essere derisi in tv, con l’onore dei soldati infangato da una che spara idiozie politiche senza cervello, è un affronto a chi ha reso l’Italia grande, dai fanti del Carso ai vincitori di Vittorio Veneto. Boicottare quel monologo schifoso non basta: chi saluta il Tricolore ogni giorno, con lo spirito di chi ha respinto il nemico sul Piave, non dimentica. “Non si sceglie di essere un soldato per odio, si sceglie di essere un soldato per amore. Non si sceglie di essere un soldato perché si ama la guerra, si sceglie di essere un soldato perché si ama la Patria. E quella Patria ha bisogno di essere difesa”, ha detto Giorgia Meloni lo scorso dicembre ai militari in Lituania. Là c’era orgoglio, per la Littizzetto solo disprezzo, come emerge dalla lettera del Generale Carmelo Burgio e dalle voci di chi non tollera questo scempio.

Con le sue battute luride, la Littizzetto ha insultato i militari caduti in missione, quelli mutilati, quelli sepolti lontano – eredi di chi vinse a Vittorio Veneto. E la sinistra, con il suo esercito europeo da von der Leyen, tradisce questa storia, pronta a usarli contro di noi. “Non seguo per principio i programmi dove compare la signora Littizzetto perché, per quanto può valere, non gode della mia stima come personaggio pubblico”, ha detto il Generale Giorgio Battisti. “Quanto alle sue affermazioni sulle nostre forze armate, senza ripetermi in quello che hanno dichiarato alcuni (pochi) colleghi, mi sento in dovere di rimarcare che, senza rievocare i fatti d’arme che hanno fatto l’Italia e la memoria di quelli che sono caduti, la signora ha offeso in primis le famiglie degli oltre 170 militari che hanno perso la vita in operazioni dopo la seconda guerra mondiale”. E per questo, “dovrebbe chiedere scusa, visto che va di moda”. Battisti denuncia il silenzio delle istituzioni: “Ma questa è l’Italia, così è se vi pare”.

La lezione dei soldati alla Littizzetto è stata una staffilata. “Pregiata Miss Lucy”, esordisce Burgio, che non guarda la sua tv spazzatura. “Non mi ero neppure accorto della sua ultima performance televisiva in cui invitava Ursula von der Leyen a lasciar perdere il riarmo e la guerra, o almeno di non far conto sugli italici guerrieri”, scrive, spinto dai lettori. Evita “di enumerarle gli atti eroici di questo o quel soldato, con o senza penna o piume: l’hanno fatto in così tanti che ritengo giusto, a distanza di alcuni giorni, non triturarle i marroni”. Non spera in una condanna: “Come artista Lei ha diritto a dire ciò che Le pare, pregio non concesso ai comuni mortali”. Ma ironizza: ci sarà “qualche magistrato pronto ad invocare tale principio, applicato a Fedez e a tanti altri rapper, trapper, e sconclusionati scappati di casa”, che “dovrebbero armarsi e difendere anche Lei, secondo Madame Ursula”.

Burgio tuona: “Le Forze Armate sono degne del popolo che difendono e dei politici che le guidano”. A Vittorio Veneto, sul Piave, sul Grappa, “il soldato italiano mangiava, sparava, vestiva, meglio del figlio cui toccò la 2^”. La differenza? “Il popolo e i governanti che sostennero il soldatino avevano più fegato di chi mandò il figlio nella steppa russa o nel deserto”. Invita la Littizzetto a Redipuglia: “Potremmo salire in silenzio, senza rap imbarazzanti, su quella scalinata con i nomi di tanti giovanotti passati a miglior vita”. Poi ad Alamein, Calatafimi, Montelungo, Zattaglia, “alle lapidi sparse per l’Italia, che ricordano i soldati morti per rimettere in piedi quello che per quelli come Lei è un Paese”, ma che per noi è la Patria, consacrata dalle vittorie.
Una lettera virale attribuita a Matteo Mureddu, parà ucciso a Kabul nel 2009, recita: “Lontano dalla mia famiglia, dai miei amici, dalla mia casa. Ma non ero solo lì, ero con i miei fratelli, con uomini e donne che, come me, avevano scelto di servire il Tricolore, proteggere chi non poteva farlo da solo, di onorare un giuramento che va oltre le parole”. E chiude: “Ti auguro di capire, un giorno, che il vero coraggio non sta nel fare battute facili, ma nel camminare verso il pericolo per proteggere chi non può difendersi”. Burgio aggiunge: quei nomi sono “protagonisti di battaglie perse e vinte, che Lei non ha studiato, persa nel brodo primordiale della sua mente. Ma non è questo il punto”. Dopo la morte, “vincere o perdere non conta. Si muore per lasciare una testimonianza di affidabilità, serietà, amore. Ogni Caduto ce l’ha lasciata”. E conclude: “Si avvicini in silenzio a quei nomi, vite giovani che non hanno goduto delle sue gag penose. Pensi a cosa si son persi, ma soprattutto a cosa s’è perso Lei”. La sinistra e la Littizzetto disonorano chi ha fatto l’Italia a Vittorio Veneto: un affronto che il nostro orgoglio militare non può perdonare.

La lettera di un soldato italiano
“Cara signora Luciana Littizzetto, anche se non vorrei, le do del lei. Sono un militare dell’Esercito Italiano da 20 anni. Le voglio raccontare la mia storia”. Inizia così una delle lettere scritte per l’attrice, con la speranza che rifletta sulle sue parole. A scrivere è un soldato arruolatosi nel 2005 a 21 anni, addestrato a Chieti, dove “gli anni spensierati, senza responsabilità, pensieri, problemi, solo perché chiuso nella bolla della scuola, si sono trasformati sin da subito in responsabilità, paure, angosce”. “Vedere quei militari istruttori in divisa a Chieti mi spaventava, e non nego il fatto che ho anche pensato di lasciare e tornare alla mia vita. Poi mi sono dato degli obiettivi, che con sudore, senso di responsabilità, abnegazione, cameratismo, e rispetto della bandiera italiana (scritto tutto in maiuscolo, ndr), penso di aver raggiunto, anche se la strada è ancora lunga”.
Racconta di aver salutato famiglia e figli, preparando zaini per Kosovo, Libano, e l’operazione Strade Sicure a Trieste, Firenze, Roma, Civitavecchia. “Ogni volta che la mattina avviene l’alzabandiera dovremmo tutti noi ringraziare chi ha dato la propria vita e chi continua a darla per la difesa della Patria”. Il suo senso di appartenenza è cresciuto “quando sfortunatamente ho partecipato ad un picchetto d’onore di un collega rientrato dal teatro afghano in una bara. Vedere quella bara con la bandiera aperta su, la famiglia che piangeva, ti lascia qualcosa dentro che non va via, ma impari a conviverci”. Rifiuta l’etichetta di scansafatiche, ricordando gli interventi in alluvioni, terremoti, Costa Concordia. “Non giochiamo a carte, i tornei di scopa li lasciamo a chi frequenta i bar. Noi, a differenza di tanti, siamo pronti a tutto, a dare la nostra vita per la vostra libertà, per la libertà dei nostri figli, e quella dei figli dei nostri figli. La storia continua. Concludo dicendo: quando parlate delle forze armate, delle forze dell’ordine, collegate quei 2 neuroni che avete. Sciacquatevi la bocca”.
La lettera di un ex militare
“Cara Luciana Littizzetto, sono un militare in pensione, dopo aver servito questo Paese per circa quarant’anni”, scrive un ex soldato che ha lasciato l’uniforme ma non lo spirito. Arruolatosi nel 1984, da Roma raggiunse una base aerea al nord. “Ho visto la puntata in cui lei mi disprezza, disprezza ciò che sono stato e ciò che ho rappresentato. Nei miei quarant’anni non posso dire di aver mai rischiato la vita, quella vita che lei si è permessa di offendere a chi, ogni giorno, veramente la rischia”. Dalla Valtellina al Golfo Persico, dai Balcani all’Afghanistan, dal Libano all’Abruzzo post-terremoto, fino a pandemia e alluvioni, “lei cosa ha fatto?”. “In ogni luogo in cui sono andato non ho mai usato le armi ma ho portato aiuto e protezione, garantendo quella libertà violentamente rubata. E sinceramente, tutto questo, non mi ha fatto sentire un perdente”. “Lei e quelli come lei non reggono la verità”, quella di rassicurare moglie e figli: “‘Non ve state a preoccupa’. Andrà tutto bene. Ritornerò presto’”. Un militare è anche medico, infermiere, che sostiene un commilitone ferito: “‘Dai che la farai’”. “Noi non riempiamo teatri, non incassiamo applausi, spesso ci sputano in faccia chiamandoci servi del padrone. Checché lei possa pensare, noi serviamo, se non altro per eseguire il lavoro sporco”. “Il militare non è sinonimo di offesa ma di difesa e lei non deve permettersi di offendere chi indossa un’uniforme, con dignità, onore e amore per il proprio Paese”. Conclude: “Auguro a lei e a chi le ha permesso di fare quelle affermazioni di non ritornare mai a casa accompagnando una bara per poi affidarla ad una madre, ad una moglie, ad un figlio. Lei ha il potere dei Media, lo usi pur non condividendo ma avendo un ‘silenzioso rispetto’”.
La lettera della madre di un soldato
“Cara signora Littizzetto, sono la mamma di un militare italiano rientrato da poco dalla missione UNIFIL in Libano”, scrive una madre furiosa ma composta. “Rispetto il suo lavoro, che è quello di fare ridere la gente sdraiata su una scrivania a dire idiozie ed esclamare parolacce ogni due parole”. Con dignità spiega: i militari “sanno portare a termine le missioni di pace fra territori ostili, e sono tutt’altro che fallimenti, ma forse lei è poco documentata”. “Usi rispetto prima di sindacare il lavoro degli altri, come a lei rispettano il suo di grande comica”. Con sarcasmo: “Non è paragonabile il suo grande lavoro nel bel comodo studio televisivo a dire pagliacciate, con quello che svolgono i militari italiani esposti a situazioni rischiose”. Conclude: “Prima di buttare fango sull’Esercito Italiano, dovrebbe collegare il suo cervello e riequilibrare e migliorare il suo linguaggio povero di intelligenza ma ricco di parolacce”.

L’esercito del Piave sputa in faccia alla Littizzetto, le lettere dei morti ultima modifica: 2025-03-18T14:18:42+00:00 da V
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