“Papà ha ucciso mamma”, il padre è un immigrato africano
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Orrore a Settala: Bimba di 10 Anni Trova la Madre Massacrata a Coltellate dal Padre Marocchino. È l’Ennesima Tragedia di un’Integrazione Fallita
“Papà ha ucciso mamma”
Settala, una bimba di 10 anni ha chiamato il 118 dopo aver trovato la madre, la 43enne marocchina Amina Sailouhi, uccisa a coltellate dal padre, il 50enne connazionale Khalid Achak.
👉 Nel 2025, il 50% degli omicidi di donne è stato commesso dal 9% della… pic.twitter.com/ztoA7jxzYc
— Francesca Totolo (@fratotolo2) May 4, 2025
Un grido straziante squarcia la quiete di Settala, piccolo comune alle porte di Milano. Una bambina di soli 10 anni, con il coraggio di un’adulta e il cuore spezzato, ha chiamato il 118 dopo aver trovato la madre, Amina Sailouhi, 43enne di origine marocchina, riversa in una pozza di sangue, uccisa a coltellate dal padre, Khalid Achak, 50enne connazionale. È l’ennesimo femminicidio, l’ennesima tragedia familiare che si consuma in un contesto di violenza e disprezzo per la vita, troppo spesso legato a una mancata integrazione culturale. E i numeri parlano chiaro: nel 2025, il 50% degli omicidi di donne in Italia è stato commesso da stranieri, che rappresentano il 9% della popolazione residente. È tempo di aprire gli occhi: non possiamo più ignorare il disastro di un’immigrazione senza regole.
I fatti risalgono alla tarda serata di ieri, in un appartamento di Settala. Amina, madre di tre figli, è stata aggredita con una ferocia inaudita dal marito Khalid, che l’ha colpita ripetutamente con un coltello, lasciandola senza scampo. La piccola, testimone impotente dell’orrore, ha avuto la lucidità di allertare i soccorsi, ma per la madre non c’era più nulla da fare. I carabinieri, giunti sul posto insieme ai paramedici, hanno trovato una scena agghiacciante: Amina era già morta, il corpo straziato dalle coltellate. Khalid Achak, ancora in casa, è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Secondo le prime ricostruzioni, il delitto sarebbe scaturito da una lite domestica, forse legata a questioni di gelosia o a contrasti culturali insanabili. Ma nessuna giustificazione può lenire il dolore di una bambina che ha perso la madre per mano del padre, né placare la rabbia di una comunità stanca di contare le vittime.
Questo non è un caso isolato. La statistica è impietosa: nel 2025, metà dei femminicidi in Italia è opera di stranieri, una minoranza che pesa come un macigno sulla sicurezza del Paese. Marocchini, tunisini, albanesi, nigeriani: i nomi cambiano, ma il copione è lo stesso. Uomini che, pur vivendo in Italia, spesso da anni, rifiutano i valori di rispetto e uguaglianza, portando con sé una cultura di sopraffazione e violenza. Amina Sailouhi è solo l’ultima vittima di un sistema che ha permesso a individui come Khalid Achak di vivere tra noi, senza mai accettare che una donna abbia il diritto di essere libera, di dire no, di vivere.
Non si tratta di criminalizzare un’intera comunità, ma di affrontare una realtà che non possiamo più nascondere sotto il tappeto del politicamente corretto. L’immigrazione, la tolleranza verso chi disprezza le nostre leggi hanno creato un mostro. E a pagarne il prezzo sono le donne, massacrate in casa propria, e i loro figli, condannati a crescere con il trauma di un’infanzia rubata.
Basta con le parole vuote. Le espulsioni dei criminali stranieri devono diventare immediate e sistematiche, senza tentennamenti. Chiunque dimostri di non rispettare le nostre leggi e i nostri valori deve essere rimpatriato, senza eccezioni. Serve una revisione totale delle politiche migratorie, con controlli rigorosi sugli ingressi e programmi di integrazione che non siano solo propaganda. E serve, soprattutto, un segnale chiaro: l’Italia non è un rifugio per chi porta violenza e morte.
Khalid Achak pagherà per il suo crimine, ma la vera condanna dovrebbe essere per chi, con anni di lassismo e buonismo, ha permesso che tutto questo accadesse.
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