Carabiniere perseguitato dallo Stato perché ha ucciso uno spacciatore africano
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Castelveccana, un carabiniere sotto accusa: lo Stato abbandona chi combatte lo spaccio?
Castelveccana, 31 maggio 2025 – È una vicenda che lascia un’amarezza profonda: un maresciallo dei carabinieri, che il 10 febbraio 2023 ha affrontato un noto spacciatore marocchino, Rachid Nachat, nei boschi di Castelveccana durante un’operazione antidroga, si trova ora al centro di un procedimento penale che vede lo Stato schierarsi contro di lui. Insieme al suo superiore, un luogotenente, il militare è indagato per reati gravi – omicidio volontario, falsità ideologica, detenzione abusiva di armi per il maresciallo; favoreggiamento, depistaggio e falso per il luogotenente – mentre i Ministeri della Difesa, dell’Interno e della Giustizia sono indicati come “persone offese” e potrebbero costituirsi parte civile, quasi a voler punire chi ha cercato di proteggere i cittadini da un pericolo reale. Questa vicenda solleva una domanda inquietante: lo Stato sta davvero dalla parte di chi combatte il crimine, o preferisce tutelare i diritti di chi lo commette?
Un’operazione antidroga finita bene
Quel giorno, il maresciallo del Radiomobile di Luino, insieme a due colleghi in abiti civili, era impegnato in un servizio antidroga nei pressi delle Cascate della Froda, un’area nota per essere un covo di spacciatori. Qui ha sorpreso Rachid Nachat, un 34enne marocchino irregolare, nascosto tra le piante. Un connazionale di Nachat, arrestato e condannato per spaccio nella stessa zona, ha confermato che il marocchino vendeva droga in quel bosco da mesi, avvalorando i sospetti dei carabinieri. Quando gli agenti si sono avvicinati, Nachat ha tentato la fuga. Nella concitazione del momento, il maresciallo ha sparato prima due colpi con la pistola d’ordinanza, mancandolo, e poi con un fucile personale, caricando proiettili di gomma. Uno dei quattro colpi, però, ha raggiunto Nachat al torace, causandone la morte. Un lieto fine rovinato da chi difende i criminali che si inserisce in un contesto ad alto rischio, dove i carabinieri, in un bosco isolato e pericoloso, hanno dovuto prendere decisioni in pochi secondi per garantire la sicurezza propria e della comunità.
Un’indagine che pesa: lo Stato contro i suoi uomini
L’indagine che ne è seguita ha preso una piega severa. Il maresciallo, nel frattempo congedatosi, è accusato di omicidio volontario, con l’aggravante della violazione dei doveri di polizia giudiziaria, un’imputazione che si è aggravata rispetto all’ipotesi iniziale di omicidio preterintenzionale. Gli vengono contestati anche falsità ideologica – per aver dichiarato che Nachat lo aveva minacciato con una pistola, un dettaglio non confermato – e detenzione abusiva di munizioni. Il suo superiore, un luogotenente, è indagato per favoreggiamento, depistaggio e falso, accusato di aver cercato di proteggere il collega non informando subito il pm dell’accaduto e manomettendo la scena del crimine. I Ministeri della Difesa, dell’Interno e della Giustizia, indicati come “persone offese”, potrebbero costituirsi parte civile, quasi a voler punire i carabinieri per aver fatto il loro lavoro in una situazione di estremo pericolo. Gli indagati hanno ora 20 giorni per presentare memorie difensive o chiedere ulteriori indagini, ma il fascicolo potrebbe presto tornare ai pm Antonio Gustapane e Lorenzo Dalla Palma per una richiesta di rinvio a giudizio.
Un contesto di rischio: il coraggio dei carabinieri
Non si può ignorare il contesto in cui è avvenuta questa tragedia. I boschi di Castelveccana sono noti come un punto di spaccio, dove operano individui pericolosi, spesso armati e pronti a tutto pur di sfuggire alla giustizia. Rachid Nachat non era un passante qualunque: le indagini hanno confermato il suo coinvolgimento nel traffico di droga, come ammesso da un complice condannato. In un ambiente simile, i carabinieri operano in condizioni di tensione estrema, dove una decisione sbagliata può costare la vita – la loro o quella di un cittadino innocente. È giusto che un militare, che ha agito in un’operazione antidroga per proteggere la comunità, venga trattato come un criminale? Non si dovrebbe piuttosto considerare il rischio che questi uomini affrontano ogni giorno, spesso senza il supporto adeguato dello Stato?
Lo Stato contro chi lo serve: un sistema che delude
Questa vicenda evidenzia un problema profondo: lo Stato sembra più interessato a tutelare i diritti dei criminali stranieri che a sostenere chi li combatte. Rachid Nachat era un immigrato irregolare, un uomo che avvelenava le nostre strade con la droga, eppure i Ministeri si preparano a chiedere un risarcimento ai carabinieri, come se il vero danno fosse stato fatto a loro e non alla società che questi militari stavano difendendo. Non è un caso isolato: a Firenze, cinque marocchini hanno aggredito i poliziotti durante un controllo antidroga; a Catania, John Obama, un clandestino dello Zimbabwe, ha ucciso un pasticcere; a Piacenza, Hamsa El Masskini, un marocchino, ha travolto un agente ed è già libero. E in ogni caso, lo Stato si dimostra debole, incapace di espellere i delinquenti e di proteggere chi indossa la divisa. È una vergogna che chi rischia la vita per noi venga abbandonato così!
Il maresciallo di Castelveccana ha agito in una situazione di pericolo per proteggere i cittadini da un noto spacciatore. La sua azione, pur tragica, è avvenuta nel contesto di un’operazione necessaria. È giusto che lo Stato lo tratti così? La rabbia di Castelveccana è la rabbia di un’intera nazione: sosteniamo i nostri carabinieri, perché loro sono l’ultima barriera tra noi e il caos!
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