Cassazione contesta intesa Italia-Albania: toghe rosse vogliono governare
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La sinistra vuole governare attraverso la magistratura.

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La recente relazione della Corte di Cassazione sul protocollo Italia-Albania rappresenta un’ulteriore prova di un’ingerenza giudiziaria che mina la sovranità del Parlamento e usurpa il ruolo della Corte Costituzionale. Pubblicata il 29 giugno 2025 e riportata dal Manifesto, questa corposa analisi dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo non si limita a sollevare dubbi sulla legittimità del trattenimento dei cittadini stranieri, ma si spinge a contestare l’intero accordo tra Italia e Albania, evidenziando presunte criticità con la Costituzione, il diritto internazionale e quello dell’Unione Europea. Un’azione che supera i limiti della funzione giurisdizionale, trasformando la Cassazione in un legislatore parallelo e un giudice costituzionale di fatto.
La Corte, anziché limitarsi a interpretare le leggi approvate dal Parlamento, si arroga il diritto di metterne in discussione la validità, invadendo un campo che spetta esclusivamente agli eletti dal popolo e alla Consulta. La relazione cita la dottrina per sostenere che il protocollo sarebbe in contrasto con la Costituzione e con gli obblighi internazionali, ma tali affermazioni appaiono più come un’opinione politica che come un’analisi giuridica oggettiva. La Cassazione, infatti, non ha il potere di annullare leggi né di anticipare i giudizi della Corte Costituzionale, che sola può dichiarare l’incostituzionalità di un provvedimento. Eppure, con questa mossa, la Suprema Corte sembra voler dettare l’agenda legislativa, scavalcando il processo democratico.
Il protocollo Italia-Albania, frutto di un’intesa tra i governi di Roma e Tirana, è stato discusso, negoziato e ratificato dal Parlamento, riflettendo una scelta politica volta a gestire i flussi migratori in linea con le esigenze di sicurezza nazionale. Sottoporre tale accordo a un vaglio critico da parte della Cassazione, con richiami al diritto dell’Unione Europea e internazionale, appare come un tentativo di delegittimare una decisione sovrana, ignorando che la compatibilità con tali normative è già stata valutata nelle sedi competenti. La Corte Costituzionale, se chiamata in causa, avrebbe il compito di pronunciarsi in via definitiva, ma la Cassazione anticipa questo ruolo, creando confusione e sfiducia nelle istituzioni.
Questa deriva è tanto più grave perché la Cassazione non si limita a un’analisi tecnica, ma si avventura in considerazioni che sfociano in un giudizio politico. Parlare di “numerosi dubbi di compatibilità” con la Costituzione e il diritto internazionale, senza un pronunciamento formale, equivale a un’ingerenza indebita che mina la separazione dei poteri. Il Parlamento, eletto dai cittadini, ha il diritto e il dovere di legiferare, e la Consulta ha l’esclusiva per verificarne la conformità costituzionale. La Cassazione, invece, si pone come un terzo incomodo, tentando di sostituirsi a entrambi con un’interpretazione che appare più ideologica che giuridica.
Questa situazione richiede una reazione ferma. La magistratura deve tornare ai suoi compiti originari: applicare la legge, non scriverla né giudicarne la legittimità al posto degli organi preposti. L’attacco al protocollo Italia-Albania non è solo un attacco a un singolo provvedimento, ma un pericoloso precedente che rischia di paralizzare l’azione legislativa ogni volta che un accordo politico incontra il dissenso di una parte della dottrina o della giurisprudenza. È tempo che il Parlamento riaffermi la propria autorità e che si ponga un freno a queste derive giudiziarie, per ristabilire l’equilibrio democratico e la certezza del diritto.
Vox…fate i complimenti al centrodestra. Vogliono portare altri 500 mila immigrati in tre anni col decreto flussi…