Iveco venduta all’indiana Tata: gli Elkann vendono il futuro industriale dell’Italia
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**La fine di un’epoca: gli Elkann vendono a caro prezzo la storia industriale italiana**
La notizia è di quelle che segnano un punto di non ritorno: Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, ha deciso di smantellare un pezzo fondamentale della storia industriale italiana, liquidando Iveco in un’operazione finanziaria tanto lucida quanto spietata. Con un doppio colpo, la parte civile di Iveco — che comprende furgoni, camion e autobus — finisce nelle mani di Tata Motors per 3,8 miliardi di euro, mentre il ramo militare, Iveco Defence, passa a Leonardo per 1,7 miliardi. Totale: 5,5 miliardi di euro incassati in un solo giorno. Un capolavoro di finanza, certo, ma anche un’amara dichiarazione di resa per chi ancora credeva che la famiglia Agnelli-Elkann potesse rappresentare un baluardo dell’industria italiana.
### Un’eredità sacrificata sull’altare del profitto
Iveco non è solo un’azienda: è un simbolo della capacità manifatturiera italiana, un marchio che per decenni ha rappresentato l’eccellenza nella produzione di veicoli pesanti, dai camion agli autobus, fino ai mezzi militari. Nata nel 1975 dalla fusione di marchi storici come Fiat Veicoli Industriali, OM e Lancia Veicoli Speciali, Iveco ha incarnato la tenacia di un’Italia industriale che sapeva competere sui mercati globali. Oggi, quella storia viene ceduta senza remore: la parte civile vola in India, sotto il controllo di Tata Motors, un colosso che, pur rispettabile, non ha alcun legame con la tradizione italiana; il ramo militare, invece, resta in Italia con Leonardo, ma solo come tassello di una strategia finanziaria che privilegia il profitto immediato rispetto alla visione di lungo termine.
Questa mossa segna la fine definitiva dell’impegno degli Elkann nel settore dei trasporti pesanti, un comparto che, insieme a Fiat, ha rappresentato per oltre un secolo il cuore pulsante dell’impero Agnelli. Ma se un tempo la famiglia torinese si faceva vanto di costruire il futuro industriale del Paese, oggi sembra interessata solo a massimizzare i rendimenti, spostando il focus su settori ritenuti più redditizi, come il lusso (Ferrari, Stellantis) o la finanza speculativa. È una scelta legittima, certo, ma che lascia un vuoto profondo in un’Italia già impoverita di campioni industriali.
### Tata e Leonardo: vincitori e vinti di una svendita
L’operazione è stata orchestrata con precisione chirurgica. Da un lato, Tata Motors si assicura un marchio storico e una rete produttiva consolidata, rafforzando la propria presenza in Europa e accaparrandosi know-how e tecnologie che le permetteranno di competere meglio nel mercato globale dei veicoli commerciali. Dall’altro, Leonardo, con l’acquisizione di Iveco Defence, si posiziona come leader europeo nella difesa terrestre, un settore strategico in un mondo sempre più instabile. Ma a che costo? L’Italia perde il controllo di un asset cruciale, e il rischio è che la produzione di Iveco, sotto la guida indiana, venga progressivamente delocalizzata, con ricadute drammatiche su occupazione e indotto.
Non si può negare che Exor abbia agito con razionalità economica: incassare 5,5 miliardi di euro in un colpo solo consente di liberare risorse per nuovi investimenti e di ridurre l’esposizione a un settore, quello dei trasporti pesanti, sempre più competitivo e a margini ridotti. Ma questa razionalità si scontra con la responsabilità storica di una famiglia che, per generazioni, ha incarnato l’industria italiana. Gli Elkann sembrano aver dimenticato che il loro successo non è nato solo dalla capacità di fare profitti, ma anche dalla costruzione di un sistema industriale che ha dato lavoro a milioni di persone e ha reso l’Italia un punto di riferimento globale.
### Un modello industriale in via d’estinzione
La cessione di Iveco è solo l’ultimo capitolo di un progressivo disimpegno degli Elkann dall’industria tradizionale. Dopo la fusione di Fiat Chrysler con PSA per creare Stellantis — un’operazione che ha di fatto spostato il baricentro del gruppo fuori dall’Italia — e il ridimensionamento della presenza industriale nel nostro Paese, la svendita di Iveco rappresenta un ulteriore passo verso l’abbandono di un modello che ha fatto la storia del capitalismo italiano. Gli Elkann sembrano preferire il ruolo di investitori globali, lontani dai vincoli e dalle responsabilità di chi gestisce fabbriche, lavoratori e filiere produttive.
Questo approccio non è solo una scelta strategica, ma una dichiarazione di intenti: l’industria pesante, con i suoi tempi lunghi e i suoi margini incerti, non rientra più nei piani di una famiglia che guarda al futuro attraverso il prisma della finanza. Ma in un Paese come l’Italia, dove la manifattura è ancora il motore dell’economia, questa ritirata rischia di lasciare ferite profonde. Le fabbriche di Iveco, da Torino a Brescia, da Bolzano a Suzzara, sono realtà vive, fatte di lavoratori, competenze e comunità locali. Cederle a un gruppo straniero senza garanzie sul loro futuro è un atto che sa di tradimento.
### Un futuro senza radici
La domanda che rimane è semplice: cosa resta dell’eredità degli Agnelli? La risposta, purtroppo, è altrettanto chiara: sempre meno. Gli Elkann hanno scelto di sacrificare un pezzo di storia industriale italiana per inseguire profitti immediati e una visione globalizzata che poco ha a che fare con il destino del nostro Paese. Mentre Tata e Leonardo si spartiscono i frutti di questa operazione, l’Italia perde un altro frammento della sua identità produttiva. E la sensazione è che, per gli Elkann, questo sia solo l’inizio di un progressivo distacco da un Paese che, un tempo, li considerava i suoi campioni.
In un’epoca in cui la sovranità industriale è tornata al centro del dibattito globale, l’abbandono di Iveco da parte di Exor non è solo la fine di un’azienda, ma il simbolo di un’Italia che fatica a difendere le sue eccellenze. Gli Elkann, con questa mossa, non hanno solo venduto un marchio: hanno venduto un pezzo della nostra storia. E il prezzo, per quanto alto in termini finanziari, è insostenibile in termini di identità e futuro.
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