Alessandro ucciso e smembrato dalle sue donne: il volto del matriarcato
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### L’Omicidio di Gemona: La Confessione Shock della Madre e l’Ipocrisia Mediatica sul “Matriarcato”
In un tranquillo paesino del Friuli come Gemona del Friuli, in provincia di Udine, si è consumato un dramma familiare di inaudita violenza. Alessandro Venier, 35 anni, padre di una bimba di soli sei mesi, è stato ucciso e smembrato in casa propria, in località Taboga. Il corpo, sezionato in tre parti con un’ascia e nascosto in un bidone coperto di calce viva per mascherare l’odore, è stato ritrovato il 31 luglio in un’autorimessa adiacente alla villetta dove viveva con la compagna e la figlia. Le responsabili, secondo le indagini, sono due donne a lui vicine: la madre Lorena Venier e la compagna Mailyn Castro Monsalvo.
#### Chi è Lorena Venier, la Madre Confessa
Lorena Venier, 61 anni, è un’infermiera impiegata all’ospedale di Gemona. Descritta come una donna apparentemente normale, ha continuato a lavorare regolarmente nei giorni successivi al delitto senza destare sospetti tra colleghi e conoscenti. Durante l’interrogatorio con il sostituto procuratore Giorgio Milillo, ha reso una piena confessione, apparendo visibilmente scossa e pronunciando parole che hanno gelato gli inquirenti: “Sono stata io e so che ciò che ho fatto è mostruoso”. Ha ammesso di aver agito insieme alla nuora, l’immigrata Mailyn Castro Monsalvo, 30 anni di origini colombiane, definendola “la figlia femmina che non ho mai avuto”, a sottolineare un legame eccezionalmente stretto tra le due donne. Entrambe sono state fermate e trasferite nel carcere di Trieste, dove attendono l’udienza di convalida dell’arresto prevista per lunedì.
#### I Dettagli del Delitto: Dubbi sul Movente e l’Ipotesi dell’Avvelenamento
L’omicidio sarebbe avvenuto intorno al 25 luglio, circa una settimana prima del ritrovamento del corpo. Secondo le prime ricostruzioni, tutto sarebbe partito da una lite domestica banale: Alessandro aveva promesso di preparare la cena ma non l’ha fatto, scatenando le ire della madre e della compagna. Il clima in casa era già teso, con critiche ricorrenti verso il giovane per la mancanza di un lavoro stabile e il poco aiuto nelle faccende domestiche, in un contesto di difficoltà economiche sostenuto solo dallo stipendio di Lorena.
Non è ancora chiaro il metodo esatto con cui Alessandro è stato ucciso. Gli inquirenti non escludono che sia stato reso inoffensivo con dei farmaci prima dell’aggressione fatale, un’ipotesi plausibile dato che Lorena, in quanto infermiera, aveva facile accesso a sostanze mediche, e Mailyn assumeva medicinali per una depressione post-partum. L’autopsia, affidata a un istituto medico-legale, sarà cruciale per chiarire questo aspetto e confermare se si tratti di avvelenamento o di un’aggressione diretta. Dopo l’uccisione, il corpo è stato smembrato con un’ascia e occultato nel bidone, mentre le due donne hanno ripulito la scena del crimine, lasciando poche tracce di sangue nella villetta. Il movente resta avvolto nel mistero: al di là della lite per la cena, gli investigatori indagano su possibili tensioni familiari più profonde, ma per ora non emergono elementi di premeditazione o di un piano elaborato.
Le indagini, coordinate dalla Procura di Udine, proseguono con accertamenti scientifici nella casa per identificare la stanza esatta del delitto. La preoccupazione principale di Lorena, durante l’interrogatorio, è stata per la nipotina di sei mesi, ora affidata ai servizi sociali.
#### La Dicotomia Mediatica: Dal “Patriarcato” al Silenzio sul “Matriarcato”
Questo efferato omicidio, commesso da due donne ai danni di un uomo, pone inevitabilmente un confronto con casi recenti che hanno dominato il dibattito pubblico in Italia. Pensiamo al tragico assassinio di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta nel novembre 2023. In quel contesto, i media e le istituzioni hanno insistito su un’emergenza “femminicidio”, invocando il concetto di patriarcato come radice culturale della violenza maschile sulle donne. Si è parlato di corsi obbligatori di educazione sentimentale nelle scuole, mirati soprattutto ai ragazzi, per prevenire futuri atti di possessività e aggressività.
Applicando lo stesso principio logico qui, dovremmo forse iniziare a discutere ogni giorno di “matriarcato” opprimente e proporre corsi di educazione per le donne, per insegnare loro a gestire rabbia e dinamiche familiari senza ricorrere alla violenza? Ovviamente no. Come nel caso Cecchettin, non c’è alcuna emergenza sistemica: si tratta di atti estemporanei commessi da individui instabili, mossi da follia personale piuttosto che da strutture culturali invisibili. Eppure, l’approccio mediatico rivela una dicotomia evidente. Mentre il femminicidio scatena campagne nazionali e appelli al cambiamento sociale, un omicidio come questo – donna contro uomo, madre contro figlio – viene trattato come un fatto di cronaca isolato, senza generalizzazioni o calls to action collettive.
Questa ipocrisia evidenzia come il discorso pubblico sulla violenza di genere sia spesso selettivo, influenzato da narrative preconfezionate piuttosto che da un’analisi obiettiva. In entrambi i casi, la vera lezione è che la pazzia umana non ha genere: serve giustizia per le vittime, supporto per le famiglie e indagini accurate, non indottrinamenti ideologici nelle scuole o sui media.
Il caso di Gemona ci ricorda che la violenza domestica può colpire chiunque, e che etichettarla in base al sesso degli autori rischia di oscurare la complessità umana dietro ogni tragedia.
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