Latina, città ostaggio di branchi nordafricani sbarcati in Italia dal governo
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**LATINA, LA CITTÀ DEGLI OSTAGGI: COSÌ I BRANCHI NORD AFRICANI RAPINANO I NOSTRI FIGLI**

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**LATINA –** Hanno quattordici, quindici, sedici anni. Dovrebbero pensare allo sport, alla scuola, alle prime cotte. Invece no. Invece devono guardarsi le spalle mentre camminano per le piazze della loro città. Devono calcolare mentalmente la strada più sicura per tornare a casa. Devono pregare di non incontrare quei branchi di giovani nordafricani che li aspettano come lupi all’angolo della strada, pronti a derubarli, umiliarli, picchiarli. Questo non è più allarme sicurezza. Questo è un bollettino di guerra.
Latina, la città che doveva essere il simbolo della bonifica e della rinascita, oggi è il simbolo della resa. La resa di uno Stato che non protegge più i suoi cittadini. La resa di una politica che preferisce girarsi dall’altra parte piuttosto che ammettere che il multiculturalismo è fallito. La resa di una società che sacrifica i suoi figli sull’altare di un’accoglienza senza regole e senza cervello.
L’allarme lo lancia Vincenzo Valletta, consigliere comunale della Lega, ma lo sanno tutti. Lo sanno i ragazzi che hanno subito le rapine, lo sanno i genitori che tremano quando i figli escono la sera, lo sanno i commercianti che vedono le loro attività desertificarsi dopo il tramonto. I branchi di nordafricani – minorenni o poco più – hanno preso il controllo del centro. Piazza del Popolo, Piazza San Marco, Piazza della Libertà: sono diventate terre di nessuno, zone franche per la criminalità, mercati a cielo aperto dello spaccio e della violenza.
Le forze dell’ordine? Sono presenti, fanno quello che possono, ma sono insufficienti. Sono ostacolate da leggi he li costringono a rilasciare dopo poche ore gli arrestati, sono demotivate da una giustizia che non condanna, sono umiliate da un sistema che tratta il delinquente come una vittima e il cittadino come un disturbo.
La risposta delle istituzioni? Telecamere. Sì, telecamere. Come se una telecamera potesse fermare un coltello. Come se un video potesse restituire a un sedicenne la sicurezza di camminare per strada. Le telecamere servono, è vero, ma servono dopo. Dopo che il reato è stato commesso. Dopo che il sangue è stato versato. Dopo che il trauma si è consumato.
Quello che serve invece è prevenzione. Prevenzione vuol dire espulsioni immediate per gli immigrati irregolari che commettono reati. Prevenzione vuol dire campi di lavoro forzato per chi spaccia e rapina. Prevenzione vuol dire pattugliamenti armati e ronde cittadine. Prevenzione vuol dire dire basta all’ipocrisia del “sono solo ragazzate”.
Perché quelle che vengono definite “ragazzate” sono in realtà violenze che segnano per sempre. Un telefono rubato è un complimento rispetto a quello che subiscono questi ragazzi: sono minacciati, percossi, terrorizzati. Gli viene insegnato che non sono padroni a casa loro, che devono sottostare alla legge del più forte, che lo Stato non li protegge.
Latina è solo l’ultima frontiera di un’emergenza nazionale. Da Nord a Sud, le città italiane sono sotto assedio. E mentre i politici discutono, i nostri figli vengono sacrificati. Fino a quando? Fino a quando non sarà troppo tardi? Fino a quando non ci sarà un morto?
È ora di smetterla di avere paura di essere definiti razzisti. È ora di capire che difendere i propri figli non è razzismo, è amore. È ora di capire che chiunque minacci la sicurezza dei nostri ragazzi non ha diritto di stare nel nostro Paese.
La sicurezza non è un diritto di serie B. È il primo dovere di uno Stato. E se lo Stato non lo assolve, allora tocca a noi cittadini farlo. Con ogni mezzo necessario.
Ma il governo dice di pensare alla sicurezza e al blocco navale. È bello salire al potere con le balle dette in campagna elettorale…