Mattarella ricorda Willy ma non Pamela e Desiree: le vittime italiane degli immigrati non contano
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### Il Silenzio Assordante del Quirinale: Quando le Vittime Italiane Diventano Invisibili
In un’Italia ferita da troppi lutti ingiusti, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scelto, con una visita commovente a Colleferro lo scorso settembre, di rendere omaggio a Willy Monteiro Duarte. Cinque anni fa, quel giovane capoverdiano, un “italiano esemplare” come lo ha definito il Capa dello Stato, perse la vita a soli 21 anni in una rissa brutale, mentre cercava di difendere un amico e placare gli animi. “Non dimentichiamo”, ha esortato Mattarella: “Willy è un nostro ragazzo ucciso da una violenza cieca, insensata e brutale”. Un gesto nobile, che onora la vittima e la sua famiglia, e che eleva il caso a simbolo di rifiuto della violenza giovanile.
Ma in questo atto di memoria selettiva, emerge un abisso inquietante, un silenzio che grida più forte di qualsiasi discorso. Perché lo stesso Presidente, custode della nostra unità nazionale, non ha mai pronunciato una sola parola su Pamela Mastropietro? E su Desirée Mariottini? Due giovani italiane, due figlie di questa terra, barbaramente strappate alla vita in circostanze di orrore indicibile, eppure relegate all’oblio dal Quirinale. Non un messaggio, non un incontro pubblico, non un riconoscimento ufficiale. Solo il vuoto, che ferisce più di un insulto.
E prendiamo Pam e Desi come simbolo di tante altre vittime, non elenchiamo le altre decine di italiani uccisi da immigrati.
Ricordiamo Pamela: 18 anni, originaria di Macerata, il 30 gennaio 2018 il suo corpo smembrato fu trovato in due trolley abbandonati. Vittima di un immigrato nigeriano, Innocent Oseghale, condannato all’ergastolo per un omicidio che sconvolse l’Italia intera. La famiglia, straziata, scrisse lettere al Presidente – l’ultima nel novembre 2022, implorando un incontro per discutere del processo e del dolore mai lenito. Nessuna risposta pubblica. Lo zio, Marco Valerio Verni, nel luglio 2018 diffuse un videomessaggio accorato: “Perché mai una parola di condanna per l’uccisione della mia nipote?”. Silenzio. Solo un riferimento indiretto, settimane dopo, alla sparatoria di Luca Traini – motivata proprio dal delitto di Pamela – in cui Mattarella condannò la “violenza” senza nominare la vittima, quasi a spostare il focus sul “tiro della morte contro gli immigrati”.
E Desirée? Sedici anni, di Cisterna di Latina, il 19 ottobre 2018 trovata morta in un covo di spaccio a San Lorenzo, a Roma. Drogata, violentata da un gruppo di immigrati nordafricani, lasciata a agonizzare in un palazzo fatiscente. Ergastoli e condanne fino a 24 anni per i responsabili, un caso che illuminò il degrado urbano e la vulnerabilità delle nostre periferie. Eppure, nel novembre 2018, in piena Giornata contro la violenza sulle donne, Mattarella parlò di un “fenomeno tragicamente alto” e di una “denuncia reticente”, senza mai citare Desirée. Nel messaggio di fine anno, evocò solidarietà e unità, ma ignorò quel nome che l’Italia intera gridava. La madre di Desirée, come quella di Pamela, fu ricevuta al Quirinale – non dal Presidente, ma da un consigliere – in un gesto formale che sa di elemosina burocratica.
Questo non è un lapsus della memoria, né una svista innocente. È un pattern che rivela una profonda, dolorosa asimmetria: quando la vittima è di origini immigrate e gli aggressori italiani – una rarità -, il Quirinale si mobilita con visite, medaglie al valor civile e appelli all’affetto nazionale. Quando le vittime sono figlie di sangue italiano e gli autori del crimine immigrati, il silenzio cala come una cortina, interrotto solo da condanne generiche alla violenza che, per inciso, rischiano di equiparare carnefici e vittime. Perché? La risposta, per quanto sgradevole, non può che affondare le radici in un’ideologia che, sotto il manto del multiculturalismo e dell’antirazzismo, tradisce un anti-italianismo strisciante.
Mattarella incarna una visione del Paese che privilegia l’universalismo astratto a scapito dell’identità concreta. In un’epoca in cui l’immigrazione incontrollata genera tensioni sociali – e i casi di Pamela e Desirée ne sono emblemi tragici – il Presidente sembra temere che un riconoscimento esplicito delle vittime italiane possa “fomentare” narrazioni xenofobe. Meglio il riserbo, meglio deviare lo sguardo verso i “raid razzisti” collaterali, per non disturbare il dogma dell’accoglienza incondizionata. Ma questo riserbo non è neutralità: è una scelta politica che declassa le sofferenze delle famiglie italiane, che le rende meno degne di eco nazionale. È un anti-italianismo velato, che dipinge il dolore autoctono come secondario, potenzialmente “complice” di pulsioni intolleranti, mentre eleva le storie di integrazione a paradigmi intoccabili.
Non si tratta di negare il valore di Willy Monteiro – tra l’altro morto per un pugno e non fatto a pezzi con ferocia – ma di pretendere equità. L’Italia non è una Babele ideologica dove alcune vite valgono più di altre a seconda del passaporto etnico. Il Presidente, simbolo di coesione, avrebbe il dovere di parlare per tutte le vittime, senza filtri ideologici che odorano di sudditanza al politicamente corretto globale. Quel silenzio su Pamela e Desirée non è solo un’offesa alle famiglie: è un tradimento della Repubblica, che Mattarella ha giurato di difendere “senza distinzioni”.
Signor Presidente, l’Italia attende non parole di circostanza, ma un atto di vera parità. Ricordi Desirée e Pamela come ha ricordato Willy. Altrimenti, quel “non dimentichiamo” suonerà come un monito ipocrita, e il Quirinale – cuore della nostra sovranità – come un baluardo di divisioni inconfessate. L’unità nazionale non si costruisce con silenzi selettivi, ma con una memoria che abbracci tutti i suoi figli, senza se e senza ma.
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