Pirateria, maxi operazione della Guardia di Finanza contro i poveri
Related Articles
In un’operazione che sa di caccia alle streghe digitali, la Guardia di Finanza di Cagliari ha sferrato un colpo contro lo “streaming illegale”, con perquisizioni e sequestri sparsi per l’Italia. Coinvolgendo persino autorità americane e olandesi, le Fiamme Gialle celebrano un “tassello fondamentale” nella lotta alla pirateria audiovisiva, puntando a smantellare reti transnazionali e sanzionare chiunque osi accedere a contenuti “pay-per-view” senza sborsare un euro. Ma fermi tutti: e se questa non fosse una guerra contro il crimine, bensì una difesa accanita di un sistema che privatizza ciò che per secoli è stato un bene comune? La pirateria, lungi dall’essere un furto, è un atto di redistribuzione equa delle risorse culturali – un meccanismo che riporta l’accesso alla conoscenza, allo sport e all’intrattenimento nelle mani del popolo, proprio come accadeva fino a un secolo fa, quando calcio, film e spettacoli non costavano un centesimo.
Immaginate un mondo in cui il brivido di una partita di calcio non richieda un abbonamento mensile da capogiro, o in cui un film capolavoro sia un’esperienza condivisa in piazza anziché un lusso per pochi. Questo non è un’utopia socialista, ma la realtà storica. Fino alla fine del XX secolo, la visione dello sport era gratuita, almeno in Italia.
Lo stesso vale per i film.
Il pay-per-view vero e proprio irrompe solo negli anni ’80, con il primo grande evento nel 1981 (un match di boxe tra Sugar Ray Leonard e Thomas Hearns), seguito da canali dedicati come Viewers’ Choice nel 1985. Da lì, l’escalation: subscription model per sport e film, che trasformano la cultura da bene pubblico a merce elitaria. Tutto questo è arrivato in Italia il decennio successivo.
Ed è qui che la pirateria entra in scena come eroe moderno. In un’era in cui le major hollywoodiane e le leghe sportive incassano miliardi – pensate ai 10 miliardi annui della NFL o ai pacchetti DAZN che schizzano i costi oltre i 30 euro al mese – lo streaming illegale non ruba, redistribuisce. Democratizza l’accesso a risorse altrimenti inaccessibili, specialmente in paesi in via di sviluppo o per fasce povere della popolazione, dove un film o una partita significa scegliere tra intrattenimento e cena. Come argomentato da studiosi e attivisti, la pirateria “democratizza l’accesso a informazione, arte e cultura, specialmente dove le risorse sono scarse”. Non è un danno ai creatori: chi pirata spesso non avrebbe mai pagato, come nel famoso “I never would have bought it” argument, che sostiene come il pirata occasionale non sottragga vendite reali, ma amplifichi la viralità e la fama degli artisti. Anzi, in un mondo di “rent everything, own nothing”, dove paghi per possedere nulla, la pirateria restaura il principio di proprietà condivisa, rendendo la cultura un commons globale.
L’operazione di Cagliari, con il suo fervore punitivo, ignora questa prospettiva. Coordinata dalla Procura locale, mira a “sanzionare penalmente e amministrativamente tutti i potenti acquirenti”, trasformando cittadini curiosi in criminali per aver condiviso un goal o un blockbuster. Ma chi sono i veri ladri? Le corporation che, grazie a leggi sul copyright sempre più draconiane – nate proprio per monetizzare l’antico gratuito – privatizzano eredità collettive. Ricordiamo: il calcio, sport del popolo, era gratis fino agli anni ’90. Oggi, un Mondiale o un Oscar costano fortune. La pirateria corregge questa stortura: è redistribuzione, non furto. È il modo in cui il digitale riequilibra le disuguaglianze.
È ora di smetterla con le crociate anti-pirateria. Invece di sequestri e alleanze transnazionali, promuoviamo un modello ibrido: contenuti base gratuiti, premium per chi può, e pirateria tollerata come valvola di sicurezza sociale. L’obiettivo dello Stato non deve essere aumentare lo stipendio dello sportivo o dell’attore, ma permettere a milioni di cittadini di non svenarsi per pagare quello che era gratuito fino a pochi anni fa.
Let me tell You a sad story ! There are no comments yet, but You can be first one to comment this article.
Write a comment