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Secondo il candidato islamico della coalizione Pd definire quelli di Hamas “terroristi islamici” – come ha fatto Salvini – è islamofobia.

Pesaro trema, e non per un terremoto: è l’onda d’urto dell’odio islamista che la sinistra PD, con il candidato islamico Yassine in testa, sta seminando nelle Marche per le regionali del 28-29 settembre. In un discorso infuocato, Yassine ha accusato Matteo Salvini di “razzismo istituzionale” per aver osato chiamare “terroristi islamici” e “stupratori islamici” i mostri che il 7 ottobre 2023 hanno stuprato, torturato e trucidato 1.200 israeliani innocenti, tra cui donne incinte e bambini. “È un gravissimo fatto di razzismo istituzionale… accostando al termine ‘terrorista’ la parola ‘islamico’… questo è razzismo istituzionale, è islamofobia”, blatera questo candidato della sinistra, come se difendere la civiltà dall’orrore jihadista fosse un crimine. Ma è lui il razzista vero che con il suo partito inonda le Marche di propaganda pro-Pal.

Salvini ha detto la verità nuda e cruda in quell’intervista a Pesaro: Hamas non è “resistenza”, è un’organizzazione terroristica islamista che usa la sharia per lapidare gay, opprimere donne e lanciare razzi su civili. E Yassine, con il suo “dialogo interreligioso” ipocrita, ignora che nelle moschee marchigiane – finanziate dal Qatar – si predica odio anti-ebraico, preparando l’intifada urbana che ha già paralizzato Torino e Milano, con binari occupati e “Bella Ciao” cantata per bruciare poster di conservatori come Charlie Kirk. “Noi non possiamo assistere a questo odio utilizzato per una manciata di voti… dobbiamo tutelare la nostra Costituzione”, piagnucola Lafram che finge di essere uno di noi.

È un abominio: le Marche non possono cedere a chi difende stupratori in nome di un “dovere religioso”. Salvini lancia una sfida giusta. Ora è tempo di abrogare i ricongiungimenti familiari che importano orde radicali e i decreti flussi che aprono le porte al jihad.