Rovigo,sindaco: “Immigrati, il centro come il Bronx”
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Rovigo, una volta simbolo di serenità e tradizione polesana, sta vivendo un incubo che sembra non avere fine. L’ennesimo accoltellamento nel cuore della città, in Corso del Popolo, ha riacceso la ferita aperta dall’omicidio di Amine Gara, il 23enne marocchino ucciso a luglio in piazza Matteotti. Questa volta, il sangue versato ha spinto il sindaco Valeria Cittadin a un grido di allarme: “Il centro come il Bronx, ora basta!”. E ha ragione. La città, un tempo luogo di pace e orgoglio locale, sta scivolando in un abisso di violenza e degrado, alimentato da cittadini nordafricani che trasformano le sue strade in campi di battaglia.
Il primo cittadino non usa giri di parole e punta il dito su una verità scomoda ma innegabile: “Una scena squallida, indegna, che si ripete troppo spesso: una rissa tra cittadini nordafricani, in uno dei bar più frequentati da stranieri, il San Marco”. E aggiunge, con coraggio: “È razzista dirlo? No. È semplicemente raccontare la verità”. Questa schiettezza è un’àncora di salvezza in un mare di ipocrisia politica. Non si tratta di xenofobia, ma di constatare un fatto: la presenza di stranieri, in particolare nordafricani, sta portando a Rovigo un’ondata di barbarie che minaccia la sicurezza e la civiltà dei suoi cittadini.
Le ordinanze anti-vetro e anti-alcol, la creazione di zone rosse: nulla sembra fermare questa spirale di violenza. Bottiglie rotte, coltelli impugnati per una parola di troppo, risse che esplodono come faide tribali: Rovigo non è più la città che i suoi abitanti ricordano. Il sindaco lo urla con rabbia: “Non ci abitueremo mai a vedere il centro diventare un vero e proprio Bronx, non ci arrenderemo a questa barbarie”. E ancora: “Non permetteremo che regole tribali e comportamenti primitivi dettino legge nelle nostre piazze”. Parole forti, che rispecchiano il sentimento di un popolo perbene stanco di subire, stanco di vedere la propria identità calpestata.
La ferita si riapre con ogni nuovo episodio. L’accoltellamento di ieri, un altro ferito nella notte, la tensione che cresce: Rovigo è sotto assedio. E il responsabile di questa trasformazione è chiaro: una comunità straniera che rifiuta di integrarsi, che porta con sé una cultura di violenza e disprezzo per le nostre leggi. Non si tratta di generalizzazioni, ma di fatti documentati. Le forze dell’ordine, come l’Arma dei Carabinieri, intervengono con tempestività, ma la domanda sorge spontanea: perché dobbiamo arrivare a questo punto? Perché dobbiamo tollerare che le nostre piazze siano dominate da chi non ha alcun rispetto per la nostra civiltà?
Valeria Cittadin promette di non arrendersi: “A Rovigo le istituzioni ci sono e ci saranno, insieme alle forze dell’ordine, al prefetto, al questore continueremo a lavorare per la serenità della città”. Ma le promesse non bastano più. È ora di agire con decisione. Chi porta violenza e disprezzo nella nostra comunità deve essere espulso, senza se e senza ma. Non c’è spazio per chi vuole imporre la legge del taglione o del coltello. Rovigo deve tornare a essere un luogo di pace, non un campo di battaglia per faide importate da lontano.
Il messaggio del sindaco è chiaro: “A Rovigo saremo sempre inclusivi con chi si vuole integrare, per chi non lo vuole fare spazio non ce ne sarà mai”. È una linea di demarcazione netta, un ultimatum. Ma il tempo delle parole è finito. Chiediamo azioni concrete: controlli rigorosi, espulsioni immediate per chi commette crimini, e una politica migratoria che metta al primo posto la sicurezza dei cittadini italiani. Rovigo non può e non deve diventare il Bronx. È ora di riprendere il controllo, prima che sia troppo tardi. La città, il suo popolo, la sua storia lo esigono. Basta silenzi, basta compromessi: agiamo, ora!
Non esiste integrazione: è solo un altro termine per invasione e colonizzazione. Abrogare i ricongiungimenti familiari prima che sia troppo tardi. È già quasi troppo tardi.
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