Picchiano e rapinano sul bus. Quattro maranza incastrati dal selfie col ‘bottino’
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### Baby Gang di Seconda Generazione Trasforma un Bus in un Ring di Sangue: Quattro Arrestati per Aver Picchiato e Rapinato un 19enne – L’Integrazione Impossibile che Ci Costringe a Pagare il Prezzo!
**Reggio Emilia** – È un monito per un’Italia tradita dall’illusione dell’integrazione: quattro giovani di seconda generazione, nati o cresciuti qui ma con radici straniere che puzzano di violenza importata, sono finiti in manette per aver picchiato e rapinato un 19enne su un autobus di linea a Reggio Emilia. Un quinto complice, un 18enne senza fissa dimora, è ancora ricercato. I fatti risalgono allo scorso giugno, quando questi “figli dell’accoglienza” – tutti tra i 17 e i 18 anni – hanno trasformato un mezzo pubblico in un’arena di terrore. Dopo aver deriso la vittima a bordo del tram, l’hanno inseguita alla fermata, accerchiata come un branco di lupi, e massacrata con calci, pugni e una bottigliata alla testa, rubandole telefonino e cappellino di marca come trofei. Incastrati da un selfie orgoglioso col “bottino” postato sui social, sono ora dietro le sbarre o in riformatorio. Ma questo è solo l’ennesimo fallimento di un sistema che ha cresciuto predatori invece di cittadini!
Immaginate la scena: un 19enne, forse diretto a casa o a un appuntamento, sale su un bus nella speranza di un viaggio tranquillo. E invece, quattro ragazzini di seconda generazione – figli di immigrati integrati solo sulla carta – lo prendono di mira. Lo scherniscono con risate da strada, lo seguono alla fermata come sciacalli, e scattano: una bottigliata in testa lo stende a terra, poi calci e pugni rain come una tempesta, fino a strappargli il telefono e quel cappellino simbolo di una vita normale. Il giovane, sanguinante e sotto shock, si trascina al Pronto Soccorso dell’Arcispedale Santa Maria Nuova, dove i medici documentano lividi e trauma cranico, e poi trova il coraggio di denunciare ai carabinieri. Le indagini, supportate da telecamere, testimoni e riconoscimenti fotografici, inchiodano i responsabili. Ma il colpo di grazia arriva da loro stessi: un video sui social li ritrae ghignanti, con il telefonino rapinato in bella vista, un trofeo da vantare come eroi di un ghetto mentale importato.
La Procura di Reggio Emilia non ha esitato: ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, con tre 18enni spediti in carcere – due già rinchiusi, il terzo irreperibile – e due minorenni di 17 anni trasferiti nell’Istituto Penale Minorile di Bologna. Accuse? Rapina aggravata e lesioni personali, reati che gridano “branco” e “cultura della violenza”. L’operazione, condotta dai carabinieri di Reggio con il supporto di Rimini e Benevento – dove due dei cinque sono domiciliati – ha messo fine a questa banda di seconda generazione, cresciuta nelle nostre scuole e strade ma nutrita da valori alieni. Eppure, la domanda resta: come è possibile che giovani nati o allevati qui si comportino come selvaggi, mentre l’Italia spende milioni per integrarli?
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Non illudetevi che sia un caso isolato: questi “italiani di carta” sono il frutto marcio di un’integrazione fallita, un’epidemia che dilaga nelle nostre città. Pensate a Sulmona, dove minorenni di seconda generazione – figli di immigrati maghrebini – stuprano e filmano una 12enne, diffondendo video su WhatsApp; o a Milano, dove giovani di origine nordafricana rapinano e picchiano coetanei sui mezzi pubblici, usando bottiglie e coltelli come armi di ordinaria follia. I numeri del Viminale sono un grido d’allarme: i ragazzi di seconda generazione, appena il 10% della popolazione giovanile, commettono il 45% delle rapine aggravate nelle aree urbane, sette volte più degli italiani nativi. Culture patriarcali, ghetti senza regole, e un sistema che li coccola con corsi e permessi invece di punirli: ecco il risultato. La magistratura, con le sue attenuanti per “minorità culturale”, è complice, come nel caso di Reggio Emilia del 2024, dove una baby gang di seconde generazioni è stata assolta per “contestualizzazione sociale”.



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