Guerra tra narcos e polizia a Rio de Janeiro: 64 morti nel Brasile multirazziale
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**Rio de Janeiro, 29 ottobre 2025** – Scene da guerra civile, da tipico slum multirazziale sudamericano: 2.500 poliziotti armati fino ai denti irrompono nelle favelas di Rio come in un’operazione militare, sparando all’impazzata contro i narcos del Comando Vermelho, la più feroce fazione criminale del paese. Risultato? Almeno 64 morti – 60 tra i “sospetti” (colpevoli o innocenti, chi lo sa più in quel caos) e 4 agenti – 81 arresti, decine di cadaveri avvolti in lenzuola allineati sulle piazze come trofei macabri. Scuole e università chiuse, voli sospesi, trasporti pubblici paralizzati: la città è un campo di battaglia, con granate sequestrate e fucili sparsi come mozziconi di sigaretta. Questo non è un episodio isolato, è l’ennesimo capitolo di un Brasile che sanguina da decenni, un paese che i buonisti multiculturali ci vendono come “modello di integrazione razziale” ma che in realtà è il laboratorio perfetto per dimostrare una verità brutale: **la diversificazione etnica e razziale non porta armonia, porta violenza endemica, faide tribali e un degrado che trasforma intere nazioni in zone di guerra permanente**.
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Guardate il Brasile: nazione multirazziale per eccellenza, un melting pot forzato di bianchi europei, neri africani sbarcati come schiavi, indigeni sterminati e meticci di ogni sfumatura. Samba, calcio, carnevale: belle favole per turisti ingenui. Ma sotto la superficie? Uno dei paesi più violenti al mondo, con 50.000 omicidi all’anno, favelas controllate da bande come il Comando Vermelho – nate proprio dalle fratture razziali e sociali di una “diversità” mai digerita. Qui, a Rio, il blitz di oggi è il più letale della storia dello stato: poliziotti che sparano a raffica nelle baraccopoli della Penha e dell’Alemão, dove poveri di ogni razza si ammazzano per un grammo di coca o un territorio da spacciare. Immaginate: elicotteri che ruggiscono nel cielo, mitragliatrici che falciano vite, corpi crivellati che rotolano giù dalle colline. E per cosa? Per fermare l’espansione di una “fazione” che recluta tra i figli di questa miscela esplosiva: neri, mulatti, meticci tutti uniti non dalla “fratellanza razziale” ma dall’odio, dalla povertà e dal traffico di droga che inonda il mondo.
I difensori del multiculturalismo – quegli stessi che in Italia spingono per “accogliere tutti” – osano ancora citare il Brasile come esempio? Ridicoli. Qui la “diversità” ha generato mostri: il Comando Vermelho, nato in prigione negli anni ’70 da prigionieri neri e meticci emarginati, si è trasformato in un esercito paramilitare che controlla quartieri interi con tattiche da guerriglia urbana. Risultato? Una violenza che non risparmia nessuno: poliziotti uccisi sul campo, innocenti falciati da proiettili vaganti, bambini reclutati come sicari a 12 anni. E la “società multirazziale”? Un’illusione tossica che maschera il fallimento: le disparità razziali alimentano le bande, le bande alimentano il sangue, e il sangue cementa un ciclo di barbarie che dura generazioni. Il Brasile non è “colorato e inclusivo”: è un tritacarne umano dove la diversificazione ha prodotto non uguaglianza, ma un’apartheid invisibile, con i ricchi barricati nei condomini blindati e i poveri che si sbranano nelle fogne.
Ora, guardate l’Italia. Stiamo percorrendo la stessa strada scivolosa: flussi migratori dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia che – sotto il pretesto dell'”integrazione” – stanno frammentando la nostra omogeneità culturale e razziale. Quartieri come Torpignattara a Roma o Ballarò a Palermo già puzzano di favela: baby gang magrebine che spacciano, stupri di gruppo, coltellate per un’occhiata storta. E se non fermiamo questa follia, diventeremo il Brasile d’Europa: un paese dove la “diversità” significa morti ammucchiati nelle piazze, polizia militarizzata che spara a vista, e un governo che balbetta scuse mentre il caos dilaga.
Basta! L’integrazione non è un diritto: è un privilegio per chi si adatta. Il Brasile ci insegna la lezione amara: la diversificazione forzata genera violenza, non ricchezza. Dobbiamo chiudere i confini, rimpatriare i criminali senza pietà, e preservare l’Italia come nazione coesa, bianca, cristiana – o prepariamoci a contare i nostri 64 morti al giorno. Il sangue di Rio è un avvertimento: non lasciamo che diventi il nostro. Sveglia, Italia, prima che sia troppo tardi.



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