Riforma della Giustizia, via libera definitivo: toghe rosse furiose
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# Una Riforma Modesta ma Necessaria: La Separazione delle Carriere per Frenare l’Arroganza delle Toghe Rosse
**Roma, 30 ottobre 2025** – In un’Italia afflitta da anni di scandali giudiziari e da un potere giudiziario che troppo spesso ha invaso il campo della politica e della libertà di espressione, arriva finalmente un primo, timido segnale di cambiamento. Il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, un passo che, seppur modesto, mira a mettere un po’ d’ordine nell’arroganza delle cosiddette “toghe rosse” – quel blocco di magistrati percepiti come politicizzati e inclini a usare la toga come strumento di militanza ideologica. Con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, il testo ha completato il suo iter parlamentare. Ora, come da prassi costituzionale, toccherà ai cittadini esprimersi in un referendum confermativo in programma per la primavera prossima.
Non è la rivoluzione che servirebbe davvero. Mancano all’appello misure drastiche come l’eliminazione dei reati di opinione, che da troppo tempo rappresentano un’arma letale contro la libertà di stampa e di parola, brandita con disinvoltura da procure che sembrano più interessate a silenziare dissenso che a perseguire veri crimini. E manca soprattutto un’inversione gerarchica netta: il potere legislativo sopra quello giudiziario, per evitare che i giudici si ergano a legislatori in panni di togati. Eppure, in un panorama di immobilismo cronico, questa riforma è “già qualcosa”. Un mattone posato per smantellare, almeno parzialmente, il monopolio del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), quel fortino dove le correnti rosse hanno per decenni dettato legge, intrecciando carriere e nomine in un groviglio opaco e auto-referenziale.
### Un Voto che Unisce la Maggioranza e Divide l’Opposizione
La compattezza della maggioranza è stata il filo conduttore della giornata al Senato. Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e alleati hanno votato all’unisono i 112 sì, celebrando un traguardo che – come ha sottolineato il capogruppo leghista Massimiliano Romeo – “è una battaglia storica per il centrodestra”. Romeo non ha nascosto l’orgoglio: “Come Lega, siamo particolarmente fieri perché abbiamo promosso un referendum proprio su questo tema anni fa”. Al termine del voto, i capigruppo di maggioranza hanno lasciato Palazzo Madama per iniziative di piazza, dal flash mob di Forza Italia a Piazza Navona al coro leghista fuori dal Senato: “Fuori la politica dalla magistratura!”. Un grido che riecheggia le denunce di un sistema dove la politica entra nelle procure non per corruzione, ma per subire ricatti e processi politici.
Dall’altra parte della barricata, i 59 no sono arrivati dal fronte progressista: Pd, M5S e Avs, fedeli alla linea del “no a ogni riforma che tocchi la sacralità della magistratura”. Più sfumata la posizione dei centristi. Italia Viva si è astenuta in blocco – sette senatori su nove, inclusi il leader Matteo Renzi – confermando una linea di “critica costruttiva” che sa di opportunità politica. Azione, invece, si è divisa: il leader Carlo Calenda ha ribadito il sì in Aula, definendo la separazione delle carriere “una battaglia liberale da anni, nel nostro programma elettorale e con contenuti giusti”. Ma l’astensione del compagno di partito Marco Lombardo al Misto, insieme a quella dell’autonomista Pietro Patton, tradisce le crepe in un centrosinistra che fatica a trovare un’identità su temi così spinosi.
### Giorgia Meloni: “Un Passo Storico per un’Italia Più Giusta”
A commentare per prima il voto è stata la premier Giorgia Meloni, con un post sui social che trasuda ottimismo e visione. “Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini”, ha scritto. “Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani”. Meloni ha poi lanciato un appello al referendum: “Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte, lavorando con serietà e visione. Ora la parola passerà ai cittadini”. E conclude con una nota di orgoglio nazionale: “L’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della Nazione e dei suoi cittadini. Perché un’Italia più giusta è anche un’Italia più forte”.
Parole che colpiscono nel segno, in un contesto dove la giustizia italiana è da anni il tallone d’Achille del Paese: tempi biblici per le sentenze, procure che indagano premier e oppositori con la stessa foga, e un CSM che funge da camera di compensazione per ambizioni personali più che da garante di indipendenza. La riforma Nordio – dal nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato e acerrimo critico del sistema – non risolve tutto, ma inizia a smontare l’edificio marcio.
### Cosa Cambia con la Separazione delle Carriere
Al cuore del ddl c’è l’obiettivo di dividere le carriere dei magistrati: da un lato i “giudicanti” (i giudici che decidono sulle controversie), dall’altro i “requirenti” (i pm che accusano). Per farlo, si riformano gli organi di autogoverno: addio al CSM unico, benvenuto a due entità distinte. Il **Consiglio Superiore della Magistratura Giudicante** e il **Consiglio Superiore della Magistratura Requirente** saranno entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, con di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione. Gli altri membri? Un terzo sorteggiato da un elenco parlamentare di professori ordinari di diritto e avvocati con almeno 15 anni di anzianità; i restanti due terzi eletti tra i magistrati delle rispettive categorie. I vicepresidenti saranno scelti tra i sorteggiati, con mandati di quattro anni non rinnovabili consecutivamente. Un meccanismo che, sulla carta, riduce le lobby interne e introduce un po’ di aria fresca dall’esterno.
Non solo: nasce l’**Alta Corte Disciplinare**, un organo dedicato alle sanzioni contro i magistrati, sia giudicanti che requirenti. Composta da 15 giudici, la Corte mescola nomine presidenziali (tre tra accademici e avvocati con 20 anni di esperienza), sorteggi parlamentari (tre) e magistrati estratti a sorte (sei giudicanti e tre requirenti, con requisiti stringenti). Il presidente verrà scelto tra i non-magistrati, per garantire imparzialità. E c’è di più: le sentenze dell’Alta Corte potranno essere impugnate dinanzi a se stessa, ma in composizione diversa, per un doppio grado di giudizio che evita abusi.
| **Aspetto** | **Prima della Riforma** | **Dopo la Riforma** |
|————-|————————–|———————|
| **Autogoverno** | CSM unico per tutti i magistrati | Due Consigli separati (Giudicante e Requirente) |
| **Composizione** | Elezioni interne, dominata da correnti | 1/3 sorteggiati da esterni (accademici/avvocati); 2/3 da magistrati |
| **Disciplina** | CSM con funzioni miste | Alta Corte dedicata, con sorteggio e impugnabilità |
| **Mandati** | Variabili e rinnovabili | 4 anni, non rinnovabili consecutivamente per sorteggiati |
In sintesi, si tratta di un’architettura che separa i poteri all’interno della magistratura stessa, riducendo il rischio che un pm ambizioso diventi giudice con i suoi stessi dossier in mano. Un freno all’arroganza, sì, ma modesto: non tocca la responsabilità civile dei magistrati né accelera i processi. È un primo ordine, non la rivoluzione.
### Verso il Referendum: La Parola ai Cittadini
Con il via libera del Senato, la palla passa ai cittadini. La maggioranza ha già annunciato una campagna referendaria aggressiva, per convincere gli italiani che questa non è una “riforma di parte”, ma un antidoto contro gli eccessi di un sistema che ha prodotto mostri come Mani Pulte o i processi a Silvio Berlusconi. Le toghe rosse, habitué delle barricate, promettono battaglia: “Un attacco all’indipendenza della magistratura”, tuoneranno Pd e M5S. Ma i fatti parlano: anni di nomine pilotate, di procure che inseguono fantasmi ideologici, di libertà di espressione calpestate sotto il pretesto di “hate speech”.
Questa riforma è modesta, lo ammettiamo. Serviva di più, molto di più. Ma in un’Italia dove il cambiamento è un miraggio, è un ordine che va accolto. Almeno, mette un paletto all’arroganza: le toghe rosse non potranno più giocare su tutti i tavoli. Ora, che i cittadini dicano sì, per un’Italia dove la giustizia serve il popolo, non le sue élite.



La riforma essendo stata fatta da imbecilli non serve ad una mazza, la Vera riforma è che quando un magistraminkia sentenzia a capokKia va licenziato…..
Quella è la riforma, non sta scemenzA
Infatti di responsabilità civile non se ne parla: quindi di fatto cambia tutto per non cambiare niente, che tristezza ……🥴