Migrante voleva sgozzarlo: un anno per archiviare poliziotto che l’ha abbattuto
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# UN ANNO DI VERGOGNA GIUDIZIARIA: I MAGISTRATI PROTEGGONO I CLANDESTINI, NON GLI ITALIANI!
**Verona, 5 novembre 2025** – Dopo 365 giorni di umiliazioni, rinvii e silenzi complici, la Procura della Repubblica di Verona ha finalmente ammesso l’evidenza: l’assistente capo della Polizia di Stato indagato per l’omicidio di Moussa Diarra, il migrante maliano armato di coltello che ha cercato di sgozzare l’agente italiano, ha agito in **legittima difesa**. Un anno intero per capire che un poliziotto, minacciato di morte da un invasore irregolare, ha il diritto di difendersi. Un anno in cui i magistrati, con la loro solita ipocrisia buonista, hanno lasciato un eroe in divisa nel limbo dell’incertezza, mentre la marmaglia immigrata marciava per la “testa” del nostro tutore dell’ordine. Questo non è giustizia: è un tradimento del popolo italiano, ostaggio di un sistema che premia i coltelli africani e punisce chi li ferma.
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Ricordiamo i fatti, nudi e crudi, perché la propaganda sinistra cerca di seppellirli sotto slogan vuoti. Il 20 ottobre 2024, nella affollata stazione di Verona Porta Nuova, Moussa Diarra – 26 anni, maliano sbarcato illegalmente nel 2016 come minore non accompagnato – si scatena in un delirio omicida. Armato di un coltello da cucina lungo 11 centimetri, si lancia contro l’agente della Polfer urlando minacce di morte, cercando di sgozzarlo come un animale. Le telecamere di sorveglianza non mentono: il video mostra chiaramente Diarra avventarsi sul poliziotto, pronto a recidere la gola a un italiano che faceva il suo dovere. L’agente, costretto dalla necessità immediata di salvarsi la vita, estrae la pistola e spara. Un colpo secco, a mezzo metro di distanza, che ferma la minaccia. Fine della storia? No, per i magistrati veronesi, che aprono un’indagine per “omicidio colposo” e lasciano l’agente appeso per oltre un anno, mentre la famiglia di Diarra – sconcertata ora dall’archiviazione – piagnucola per “verità”.
E chi era questo “povero Moussa”, beatificato dai centri sociali e dalle ONG? Un parassita mantenuto per anni dai contribuenti italiani, sbarcato sulle nostre coste nel 2016, accolto con tappeto rosso grazie allo status di rifugiato che ha prosciugato risorse pubbliche per accoglienza, vitto e alloggio. Ospitato dalla Caritas nel rifugio “Il Samaritano” e poi nei covi anarchici del “Ghibellin” occupato dal Laboratorio Autogestito “Paratod@s”, Diarra non ha mai integrato un tubo: problemi con i documenti, lavori saltuari nei campi, e alla fine senzatetto con un coltello in mano pronto a “sgozzare italiani”, come emerso dalle indagini. Un altro regalo dell’immigrazione incontrollata: miliardi di euro buttati in welfare per gente che ricambia con lame e odio. E mentre noi italiani arrancamo con tasse alle stelle, questi “rifugiati” marciano armati di bandiere straniere, pretendendo giustizia per un aspirante assassino.
Peggio ancora, l’umiliazione continua. Proprio un anno dopo la strage sventata, il 18 ottobre 2025, centinaia di africani – maliani da tutta Italia, spalleggiati da quaranta associazioni buoniste – hanno invaso Verona con una manifestazione oscena, partendo dal luogo del delitto con la bandiera del Mali in testa. Gridavano “verità per Moussa”, accusando il sistema di “segretezza” e pretendendo la testa del poliziotto che ha salvato la pelle e forse chissà quante vite innocenti. Un insulto alla memoria dell’agente, un affronto agli italiani che pagano il conto di questa follia multiculturale. E non è un caso isolato: questi “marcianti” non chiedono scuse per l’odio importato, ma teste italiane. Ricordate Sondrio? Un altro maliano, stupratore violento. O Monza, Rovigo, le nostre città ridotte a zone di guerra da bande di non integrati che spacciano, rubano e ammazzano.
La Procura, con il procuratore Tito in prima fila, ha verificato i requisiti della legittima difesa: offesa ingiusta, attualità del pericolo, proporzionalità della reazione. Eppure, un anno per arrivarci? Questo ritardo puzza di quel garantismo selettivo che scagiona i delinquenti stranieri e crocifigge chi li ferma. I magistrati, protetti nei loro palazzi, ignorano il terrore quotidiano degli italiani: stazioni trasformate in giungle, dove un coltello maliano vale più di una vita italiana. E la famiglia di Diarra? “Sconcertata”, dicono, come se un aggressore armato meritasse il Nobel per la pace.
Basta! È ora di smetterla con questa ipocrisia letale. Chiediamo al governo: rimpatri immediati per tutti i clandestini con coltello in mano, espulsioni automatiche per reati, blocco totale dei ricongiungimenti familiari che importano solo caos. Niente più welfare per chi minaccia di sgozzarci. Gli italiani non sono sudditi di un’utopia globalista: siamo una nazione sovrana, e la nostra sicurezza viene prima di tutto. Al poliziotto di Verona, un grazie eterno: hai fatto ciò che i magistrati non hanno il coraggio di fare – difendere l’Italia dagli invasori. Il resto? È solo vergogna.



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