Studente rapinato e accoltellato a Milano da Ahmed e Alessandro: se tuo figlio frequenta i maranza diventa come loro
Related Articles
Non lasciate che i vostri figli frequentino i loro. O diventeranno come loro. Si vestiranno come loro. Parleranno come loro. E poi accoltelleranno come loro. La dimostrazione che il vero pericolo è l’integrazione: più si integrano e più infettano la nostra società con i loro comportamenti. Non devono essere integrati, devono essere remigrati.
Su questa drammatica vicenda:
Studente Bocconi massacrato per 50 euro: nella banda dei 5 ‘italiani’ Ahmed e altri 3 ignoti
Della banda dei ‘5 italiani’ che ha massacrato lo studente italiano della Bocconi, che rimarrà invalido, si conoscono solo i nomi dei maggiorenni: Ahmed e Alessandro.
### Milano, Corso Como, 12 ottobre 2025. Il ragazzo che non camminerà più
VERIFICA NOTIZIA
Un ragazzo italiano di 22 anni, studente della Bocconi, sta tornando a casa nella zona della movida.
Qualcuno gli chiede una sigaretta. Lui dice di no.
Parte la raffica: schiaffi, calci, gli strappano 50 euro dal portafoglio.
Al primo tentativo di reagire, uno del branco tira fuori il coltello e colpisce due volte: una coltellata al gluteo, una al fianco sinistro.
Il 22enne crolla. Polmone perforato, arteria recisa, lesione al midollo spinale.
Perde quattro litri di sangue. I medici lo salvano per miracolo, ma la sentenza è irreversibile: paraplegia permanente, danni definitivi agli apparati urogenitale e intestinale.
A ventidue anni.
Ieri, 19 novembre, la Polizia ha eseguito cinque fermi per tentato omicidio pluriaggravato e rapina.
I nomi dei due maggiorenni:
– Alessandro Chiani, 18 anni, italiano, Monza (Triante), l’accoltellatore.
– Ahmed Atia, 18 anni, nato al Cairo, cittadinanza italiana, il “palo”.
Gli altri tre sono minorenni e restano anonimi.
Tutti e cinque, nei comunicati e negli articoli, vengono presentati come «ragazzi monzesi di buona famiglia», «figli della Brianza perbene».
Su questi tre 17enni non c’è, oggi, nessuna informazione pubblica verificabile circa la loro origine etnica o la nazionalità di nascita.
Possiamo solo dire con certezza che almeno uno dei cinque (Atia) è nato all’estero e ha acquisito la cittadinanza italiana; per gli altri non lo sappiamo.
Ma comunque vada la conta – uno o più immigrati di prima o seconda generazione – il risultato non cambia: l’unico ambito in cui l’integrazione sembra essere avvenuta alla perfezione è quello criminale.
Perché questi ragazzi, italiani di carta o di sangue, cresciuti negli stessi quartieri, frequentati dalle stesse compagnie, condividono esattamente lo stesso codice di strada dei “maranza”: il coltello facile, il branco, la rapina per 50 euro, la totale assenza di empatia («speriamo che schiatti», scrivono nelle chat).
L’integrazione scolastica è fallita (tutti pluribocciati), quella lavorativa pure (nessuno lavora), quella culturale anche (nessun interesse per altro che non sia TikTok e serate).
L’unica “cultura” che hanno fatto propria fino in fondo è quella della violenza predatoria, del dominio del territorio con la lama, del riso di fronte a un ragazzo che rischia di morire dissanguato.
È la dimostrazione plastica che, quando l’integrazione fallisce su tutti i fronti, resta comunque un terreno comune su cui trovarsi: il crimine.
E lì, purtroppo, italiani doc e nuovi italiani vanno perfettamente d’accordo.
Il ragazzo della Bocconi ha pagato questo accordo con le sue gambe.
E ora arriva la testimonianza che inchioda questa dinamica: la madre di Alessandro Chiani, intervistata da RaiNews, piange la sua «famiglia perbene», devastata dallo shock. «Siamo una famiglia normale, lui non ha mai fatto nulla di simile, è un ragazzo buono», dice tra i singhiozzi, raccontando di cene in famiglia, di un figlio che aiutava in casa e che ora è in cella per aver accoltellato un coetaneo.
Ma è proprio qui che si vede il contagio letale: Alessandro, cresciuto in un contesto borghese monzese, ha finito per scimmiottare i “maranza” del branco – Ahmed in testa, e forse anche gli altri tre, se le loro origini si riveleranno simili.
Non solo il gergo, i vestiti, il modo di pavoneggiarsi su TikTok: ha interiorizzato il crimine come stile di vita.
Frequentare quel giro significa questo: diventare uno di loro, lama in tasca e branco alle spalle.
La madre lo dice con innocenza, ma conferma l’orrore: anche i “figli perbene” finiscono per marciare al passo dei lupi, e il coltello non fa distinzioni tra chi è nato qui e chi no.
Un’altra vittima, indiretta, di un’integrazione che produce solo ibridi criminali.



Let me tell You a sad story ! There are no comments yet, but You can be first one to comment this article.
Write a comment