Giudice esulta: “Dimostrare la volontà del rapporto sarà problema degli uomini, chi ha un dubbi si astenga”
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Il presidente del tribunale di Milano: “Dimostrare la volontà del rapporto sarà un problema degli uomini, chi abbia un dubbio meglio si astenga”.
Noi siamo tra quelli che vorrebbero impiccare gli stupratori. Ma non vogliamo impiccare degli innocenti.
# Un Abominio Giuridico: Quando il Consenso Diventa un Fardello per l’Uomo e la Presunzione di Innocenza un Ricordo del Passato
In un’Italia che dovrebbe celebrare i principi fondamentali dello Stato di diritto, assistiamo invece a una deriva allarmante: l’approvazione, con voto unanime alla Camera il 19 novembre 2025, di una legge che ridefinisce il reato di stupro come “violenza sessuale senza consenso”. Un passo che, sulla carta, suona bene, ma che – come emerge da un’intervista delirante rilasciata dal presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia – si trasforma in un’arma a doppio taglio, un vero e proprio attentato alla presunzione di innocenza. Roia, ex pm e giudice specializzato in reati di violenza di genere, non si limita a lodare la norma: la esalta come una “conquista storica” che ribalta l’onere della prova, trasformando la semplice denuncia di una donna in “prova” e scaricando sull’imputato – quasi sempre un uomo – l’obbligo di dimostrare l’inesistenza del reato. Un principio che puzza di giustizia sommaria, lontana anni luce dai cardini del diritto penale.
L’intervista, pubblicata con il titolo “Roia sul consenso libero: ‘In ogni momento si può dire no, sarà più facile essere credute'”, è un compendio di retorica femminista spinta all’estremo, dove il rispetto per le vittime si confonde con il disprezzo per i diritti dell’accusato. Roia, con la sicumera di chi ha passato una vita nelle aule giudiziarie, spiega che “dimostrare la volontà del rapporto sarà un problema degli uomini, chi abbia un dubbio meglio si astenga”. E ancora: “Se io fossi un pm, davanti ad una donna che mi dice di aver subìto violenza, la prova c’è già”. Parole che gelano il sangue nelle vene di chiunque creda nel principio basilare del “dubito, ergo non condanno”. Dove è finito l’articolo 27 della Costituzione italiana, che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva? Dove l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che impone allo Stato di provare il reato oltre ogni ragionevole dubbio? Roia sembra ignorarli, preferendo un approccio da “tribunale del popolo” in cui la parola della presunta vittima è oro colato, e l’uomo – colpevole fino a prova contraria – deve implorare misericordia.
Pensiamo per un momento alle implicazioni concrete. Roia celebra la legge perché “spazza via” l’esigenza di dimostrare minaccia o costrizione, sostituendola con l’assenza di “consenso pieno, consapevole e attuale”. Bene, ma come si verifica questo consenso? Non con un “contratto scritto”, ammette il presidente, ma spostando il peso sull’uomo: “D’ora in poi questo è un problema che riguarda gli uomini”. Un’inversione dell’onere della prova così sfacciata da far arrossire persino i sistemi inquisitori del passato. Immaginate uno scenario: una notte di alcol e ambiguità, un rapporto che parte consenziente e sfuma in rimpianti mattutini. La donna denuncia? Boom, “notizia di reato” acquisita, pm costretta a “crederle”. L’uomo? Deve astenersi dal sesso se ha “dubbi”, pena diventare un paria da processare. E le false accuse? Roia liquida la responsabilità della denunciante con un laconico “si assume la responsabilità di quello che afferma”, ma in un sistema dove la credibilità della vittima è presunta a priori, chi controllerà davvero? Le statistiche – ignorate dal magistrato – parlano chiaro: in Italia, le denunce per stupro con ritiro o proscioglimento oscillano tra il 20% e il 30%, spesso per ritrattazioni o prove contraddittorie. Con questa legge, quelle percentuali diventeranno condanne sommarie, alimentando un circolo vizioso di paura e diffidenza tra i sessi.
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Roia dipinge la norma come allineamento con l’Europa e le “direttive sovranazionali”, ma è una mistificazione. La Convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia nel 2013) chiede di criminalizzare i reati senza consenso, sì, ma non autorizza l’abbattimento della presunzione di innocenza. Al contrario, lo Stato deve bilanciare la protezione delle vittime con i diritti dell’imputato.
Roia, con il suo “testosterone vs. rispetto”, riduce tutto a una batalla dei sessi, ignorando le donne che abusano del sistema (e sì, esistono, come dimostrato da casi emblematici di calunnie in procedimenti familiari) e gli uomini vittime di violenza – un tema che, guarda caso, non sfiora mai il suo discorso.
Questa legge non è “civiltà”, come la chiama Roia, ma un pericoloso slittamento verso una giustizia di genere asimmetrica, dove il dubbio beneficia solo una parte. Risparmierà tempo ai processi? Certo, ma a costo di ingiustizie irreparabili: carriere distrutte, reputazioni annientate, vite segnate da condanne preventive. Roia evoca il 1996, l’anno della legge sullo stupro come reato contro la persona, un momento di vero progresso bipartisan. Ma qui, l’unanimità nasconde un consenso peloso: maggioranza e opposizione, in un’orgia di virtue signalling, sacrificano il diritto sul rogo del politicamente corretto.
È tempo di reagire. Il Senato deve stralciare questa norma o emendarla radicalmente, reinserendo garanzie minime come l’onere della prova sullo Stato e meccanismi anti-false denunce. Altrimenti, l’Italia non sarà “allineata all’Europa”, ma retrocessa a un Medioevo femminista, dove il “no” è sovrano ma il “sì” è sospetto. Presidente Roia, il rispetto non si impone con leggi capestro: si coltiva con equità. E se ha dubbi su un rapporto, forse è lei che dovrebbe astenersi dal giudicare.



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