Don Alì, il capo dei maranza arrestato a Torino: si nascondeva in cantina – VIDEO
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Speriamo in una espulsione. Vada a girare video a Casablanca.
Don Ali in carcere. Arrestato il "capo dei maranza" a Torino. Il marocchino, dopo anni di violenze e minaccia, è anche accusato di aver aggredito la troupe di Rete 4, assaltandone l'auto con una mazza chiodata pic.twitter.com/FrQa4LmmGQ
— CriminImmigr*ti (@CriminImmigratl) November 22, 2025
# Torino, finalmente in manette “Don Alì”, il capo dei maranza: minacce, schiaffi al maestro davanti alla figlia di 3 anni, aggressione con mazza chiodata alla troupe Rete4 – ma la seconda generazione resta la bomba che ci sta scoppiando in casa
Era ora.
Dopo mesi di video-choc, umiliazioni in diretta, schiaffi a maestri davanti a bambine di tre anni, aggressioni con mazza chiodata a giornalisti, il 220 mila follower su Instagram e 340 mila su TikTok a incensarlo come “eroe dei quartieri”, il 24enne di origine marocchina conosciuto come “Don Alì” è finito in manette.
Custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip su richiesta della Procura di Torino.
Accusa principale: atti persecutori.
Ma il fascicolo è un’enciclopedia dell’arroganza di seconda generazione:
– agguato a un maestro elementare di Barriera Milano, accerchiato in tre, insultato, schiaffeggiato sulla nuca davanti alla figlia di tre anni terrorizzata, filmato e pubblicato con didascalia “pedofilo” (accusa totalmente inventata)
– minaccia finale in diretta a Le Iene: «Se la prossima volta abusi un bambino, finirà molto peggio»
– aggressione con mazza chiodata alla troupe di “Diritto e Rovescio” di Rete4 l’11 novembre
– irreperibile per giorni, nascosto nelle cantine di Barriera Milano, preso dopo inseguimento a piedi
Due complici torinesi di seconda generazione (24 e 27 anni) con obbligo di firma.
Tutti e tre “italiani” sulla carta.
Tutti e tre figli di immigrati maghrebini arrivati con ricongiungimenti familiari.
Questo è il mostro che abbiamo creato noi.
Con le nostre leggi.
Con i nostri permessi umanitari regalati.
Con i ricongiungimenti familiari che hanno trasformato un clandestino sbarcato ieri in padre di un “capo dei maranza” italiano domani.
Don Alì non è un delinquente comune.
È il simbolo perfetto della seconda generazione che odia l’Italia che le ha dato tutto:
cittadinanza facile, scuola gratis, contributi, case popolari, passaporto tricolore.
E in cambio?
Schiaffi ai maestri, mazze chiodate ai giornalisti, minacce di morte in diretta, e un esercito di centinaia di migliaia di follower che lo venera come un dio.
E mentre lui finiva in carcere (finalmente), i suoi “fratellini” minori continuano a comandare i quartieri, a spacciare, a picchiare, a umiliare.
Perché sono nati qui.
Perché sono “italiani”.
Perché non li possiamo toccare.
Ma non è finita.
È appena cominciata.
La custodia cautelare è un cerotto su una cancrena.
La vera cura è una sola:
abrogare immediatamente i ricongiungimenti familiari che hanno generato questa generazione di predatori.
Revocare la cittadinanza a tutti i naturalizzati con precedenti penali.
Espellare l’intera famiglia al primo reato grave commesso da un minore.
Tornare allo ius sanguinis puro: la cittadinanza italiana è sangue italiano, non un regalo per chi cresce odiano chi gli ha dato tutto.
Don Alì in carcere è una notizia.
Ma se non fermiamo la fabbrica che lo ha prodotto, tra cinque anni avremo cento Don Alì.
E a quel punto non basteranno più le celle.
Basterà solo arrendersi.
Torino ha arrestato il capo.
Ora l’Italia deve arrestare il sistema che crea i capi.
Prima che sia troppo tardi.



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