Femministe manifestano per Hamas contro il patriarcato
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### Femministe per Hamas: quando il patriarcato va bene se è islamico
Benvenuti nel 2025, anno in cui il femminismo italiano ha deciso di fare coming out: non lotta più contro il patriarcato, lotta solo contro quello bianco, occidentale e – possibilmente – ebreo. Il resto va benissimo, soprattutto se indossa kefiah e grida “Allahu Akbar”.
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Ieri, 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. A Torino e Milano le “compagne” sono scese in piazza. Obiettivo ufficiale: dire no alla violenza di genere. Obiettivo reale: liberare l’imam Mohamed Shahin e “sanzionare” McDonald’s perché, poverino, fa patatine troppo filoisraeliane.
Partiamo da Torino. Il corteo femminista blocca la metro Marconi, invade i binari, paralizza la città. Perché? Perché bisogna “lottare contro la violenza patriarcale” difendendo un imam che il 9 ottobre 2023, in piena euforia post-7 ottobre, ha definito l’attacco di Hamas – quello con stupri di massa, mutilazioni genitali e donne bruciate vive – “un atto di resistenza”. Sì, avete letto bene: le stesse che urlano “il mio corpo, la mia scelta” oggi marciano per chi considera normale che una donna israeliana venga violentata e poi uccisa perché “resistenza”.
E guai a documentarlo. Un fotografo di LaPresse osa immortalare la scena: viene aggredito, gli rompono la macchina fotografica, lo prendono a pugni. Evidentemente anche la libertà di stampa è patriarcale, razzista e sionista. La sede Rai di Torino? Vandalizzata, perché “macchina della propaganda sionista e sessista”. La RAI. Quella che trasmette Sanremo e porta rispetto a tutte le minoranze tranne una, a quanto pare.
A Milano invece il transfemminismo d’assalto ha deciso che il vero nemico delle donne è… l’hamburger. Così occupa il Villaggio Olimpico (ancora cantiere) tagliando i cancelli con il flessibile e “sanziona” McDonald’s. Perché, come tutti sanno, nulla grida “sorellanza globale” come devastare un fast food che dà lavoro a migliaia di donne precarie italiane.
Il comunicato è da antologia: “Lottare contro la violenza patriarcale significa lottare per una Palestina libera”. Traduzione: se il patriarca è palestinese e usa la sharia, per noi va bene. Se invece è un ebreo che difende il proprio Paese dagli stupratori, allora è il Male Assoluto.
Ricapitoliamo per le nuove generazioni che studieranno questo periodo storico:
– Stuprare e uccidere donne ebree → “resistenza”
– Difendersi da chi ti stupra e ti uccide → “genocidio”
– Bloccare la metro a Torino il 25 novembre → “femminismo”
– Rompere la faccia a un fotografo → “antifascismo”
– Occupare cantieri e devastare negozi → “transfemminismo queer”
Il tutto condito da un’Ornella Vanoni riesumata post-mortem per fare da testimonial involontaria a gente che probabilmente non sa nemmeno chi fosse.
Questa non è più sinistra, è una caricatura. È l’incontro tra chi odia l’Occidente così tanto da abbracciare chiunque lo voglia distruggere, anche se poi quel “chiunque” lapida le donne adultere, le obbliga al velo integrale e considera l’omosessualità un crimine da punire con la pena di morte.
Chiamatelo pure “femminismo intersezionale”. Io lo chiamo solo con il suo vero nome: masochismo ideologico con kefiah incorporata.
E mentre loro marciano per l’imam che giustifica gli stupri del 7 ottobre, le donne curde, iraniane, afghane – quelle che davvero combattono il patriarcato islamista – le guardano e si chiedono: ma queste sono serie o stanno facendo un gigantesco, grottesco scherzo?
Purtroppo no. Non è uno scherzo. È solo l’ennesima prova che quando l’ideologia diventa religione, la coerenza muore per prima. E con lei, un po’ di dignità.



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