Il quartiere di Roma dove non ci sono più italiani
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# Il Pericolo Islam: quando un quartiere di Roma diventa ostaggio dei bengalesi. Il caso Torpignattara
Roma, dicembre 2025. C’è un pezzo della Capitale che non è più Italia. Si chiama Torpignattara, un tempo quartiere popolare romano con le sue osterie, i mercati rionali e le chiacchiere in dialetto tra i portoni. Oggi è il simbolo più evidente di cosa significhi perdere il controllo dell’immigrazione: strade invase da negozi bengalesi, preghiere collettive che bloccano i marciapiedi, degrado, micro-criminalità e una sensazione diffusa di estraneità che cresce ogni giorno tra chi ci è nato e ci è rimasto.
Non è razzismo dirlo. È cronaca.
In via di Torpignattara e nelle strade limitrofe (via Casilina, via dell’Acqua Bullicante, via Serpio) oltre il 60 % degli esercizi commerciali è ormai in mano a cittadini bengalesi. Fruttivendoli aperti fino a tarda notte, phone center, money transfer, kebab e mini-market che vendono solo prodotti halal. I vecchi bar storici hanno chiuso uno dopo l’altro. I prezzi degli affitti sono crollati per i residenti italiani, saliti alle stelle per chi vuole aprire un’attività: i clan bengalesi si passano i locali tra loro, spesso in nero, rendendo impossibile la concorrenza leale.
Ma il problema non è solo economico. È identitario e di sicurezza.
Nelle ore di preghiera del venerdì, centinaia di persone occupano i marciapiedi davanti alle moschee improvvisate (ex magazzini, ex garage, ex negozi) creando ingorghi e tensione. Le donne italiane del quartiere raccontano di non sentirsi più sicure a uscire la sera. I furti nelle cantine e nelle auto sono diventati la norma. La polizia arriva, verbalizza, ma non può fare molto: molti degli autori sono irregolari o con permessi scaduti, eppure restano lì, protetti da una rete di solidarietà etnica che li rende introvabili.
Torpignattara è la prova plastica che l’immigrazione islamica di massa, quando non è limitata, produce enclavi. E le enclavi producono parallelismo: leggi diverse, abitudini diverse, valori diversi. In poche parole: la fine dello Stato.
Per questo serve un cambio di paradigma radicale.
1. Azzeramento immediato dell’immigrazione regolare dai Paesi islamici.
Non è più accettabile concedere visti di lavoro, ricongiungimenti familiari o permessi per motivi umanitari a cittadini provenienti da Stati dove vige la sharia o dove l’antisemitismo, l’omofobia e la sottomissione della donna sono la norma culturale dominante. Chi vuole venire in Italia deve dimostrare di condividere i nostri valori fondamentali: laicità, parità di genere, libertà di espressione e di critica religiosa. Punto.
2. Remigrazione incentivata e, dove necessario, coatta per chi delinque o vive di assistenza.
Chi è arrivato con i barconi o con voli regolari e poi ha commesso reati, chi vive da anni mantenuto dallo Stato senza lavorare, chi frequenta ambienti radicali deve essere rimpatriato. Con accordi bilaterali seri (e non le finte intese che abbiamo firmato finora con Tunisia o Bangladesh). Chi vuole andarsene volontariamente va aiutato con un bonus di rimpatrio in contanti una tantum e biglietto di ritorno. Funziona già in Danimarca e Svizzera. Perché non in Italia?
E chi non se ne vuole andare? Voli senza scalo.
Torpignattara non è un caso isolato. Ci sono quartieri simili a Milano (via Padova), Bologna (zona Pilastro), Torino (Porta Palazzo), Firenze (San Frediano). O intere città come Monfalcone e Mestre. Sono le ferite aperte di una politica migratoria folle durata trent’anni, fatta di buonismo ideologico e interessi economici di pochi.
Non si tratta di odiare nessuno. Si tratta di difendere il diritto degli italiani a vivere in quartieri dove si parla italiano, dove le donne possono girare tranquille, dove i bambini giocano nei cortili senza dover schivare preghiere di massa sul marciapiede.
Se non si agisce ora, Torpignattara sarà solo l’inizio. E tra dieci anni non ci sarà più nessuna Roma da salvare.
Basta immigrazione islamica regolare.
Basta enclavi.
Remigrazione subito.
È l’unica strada per riprendere in mano il nostro futuro.



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