Un altro Africano brutalizza poliziotto a morsi ma è libero anche se clandestino
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Tanto lo sanno che possono anche staccare le dita a morsi ai poliziotti.
### L’impunità che uccide: un ladro nordafricano morde un poliziotto, tenta di rubargli la pistola e torna libero. Il sindacato tuona: “Il sistema ci abbandona”
**Rimini, 5 dicembre 2025** – In una notte che dovrebbe simboleggiare la vigilanza delle forze dell’ordine contro il crimine dilagante, si consuma invece un ennesimo capitolo di umiliazione per chi indossa la divisa. Un ladro seriale di origine algerina, già sospettato di una serie di furti nella Riviera romagnola, aggredisce violentemente un agente di Polizia durante un inseguimento, lo morde come un animale rabbioso, gli sferra pugni con le manette e tenta di strappargli l’arma di servizio. Risultato? L’aggressore, un 26enne irregolare sul territorio italiano, è già libero di circolare, con l’udienza rimandata al 12 maggio. E l’agente? Guarirà in 10 giorni da una ferita alla testa e al morso alla gamba, ma la vera lesione è quella inferta alla fiducia nel sistema giudiziario, che premia i delinquenti e castiga i tutori della legge.
I fatti, riportati con crudezza da fonti locali, dipingono un quadro da Far West alla rovescia, dove i banditi vincono e gli sceriffi finiscono in ospedale. Erano circa le 3 del mattino quando l’allarme di un ristorante a Bellariva, nel cuore di Rimini, squilla come un urlo nel buio. Una finestra forzata, il cassetto dei soldi svuotato: l’ennesimo colpo di mano di una banda che da settimane terrorizza i commercianti della zona. Gli agenti della Polizia di Stato accorrono, setacciano l’ex colonia Murri lì vicino, apparentemente deserta. Ma proprio mentre risalgono in auto, un’ombra balza dalla recinzione: è lui, il sospettato, un giovane nordafricano con una giacca nera marchiata da una “D” sulla schiena, dettaglio che lo inchioda come autore di almeno cinque furti recenti, grazie a descrizioni e immagini delle telecamere di sorveglianza.
L’inseguimento è un film dell’orrore. Il ladro scappa verso la spiaggia, getta via uno zaino – rinvenuto poco dopo con un flessibile a batteria, cacciaviti e altri arnesi da scasso, oltre a un coltellino svizzero pronto all’uso – e viene raggiunto da un agente coraggioso. L’ufficiale tenta di ammanettarlo, ma il criminale reagisce con una ferocia primordiale: prima acceca l’agente gettandogli sabbia negli occhi, poi si divincola e lo colpisce alla testa con le manette, aprendogli una ferita profonda. Non contento, lo morde alla gamba come un lupo affamato, e – nel culmine dell’audacia – allunga la mano verso la fondina per sottrargli la pistola. Solo l’arrivo di rinforzi e un getto di spray al peperoncino fermano l’assalto. L’agente, sanguinante e umiliato, viene portato in ospedale: prognosi di 10 giorni per la commozione cerebrale e il morso infetto. Il ladro? Arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, ma già poche ore dopo, in sede di direttissima, il giudice lo rimette in libertà. Motivo? La difesa, rappresentata dall’avvocata Leanne Arceci, ha chiesto “termini per la difesa”, e così l’udienza slitta a maggio. Iniziate le procedure di espulsione per pericolosità e soggiorno illegale, ma chissà se questo fantasma della notte si presenterà mai in aula.
A denunciare con parole che pesano come macigni è Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia (Sap), che non usa giri di parole: “Si tratta di un’aggressione violenta e spregiudicata che ha messo a repentaglio l’incolumità dell’agente e di tutti i colleghi intervenuti”. E ancora: “C’è grande amarezza tra gli operatori delle Forze dell’ordine, un profondo senso di impunità. L’autore è libero e impunito, e chissà se si presenterà all’udienza di maggio”. Paoloni non si ferma qui, e il suo j’accuse squarcia il velo di ipocrisia che avvolge il nostro sistema giudiziario: “Il sistema che difendiamo non ci tutela adeguatamente. Chi delinque si sente legittimato a continuare a farlo, spesso senza trascorrere nemmeno una notte in carcere”. Parole che riecheggiano il grido di un’intera categoria esausta, costretta a rischiare la vita per un Paese che, invece di proteggerli, li lascia in balia di criminali recidivi.
E qui emerge il marciume profondo di questa vicenda: un immigrato irregolare, ladro seriale armato di coltello e attrezzi da effrazione, non solo evade la cattura con violenza inaudita, ma attacca chi lo ferma, rischiando di trasformare un semplice arresto in una sparatoria. Eppure, la risposta della giustizia è un’alzata di spalle: libertà immediata, udienza rinviata di mesi, e via con le pratiche burocratiche per l’espulsione che, come sappiamo, spesso si arenano in cavilli e appelli. È l’ennesimo episodio di un’Italia dove le divise sono bersagli facili, e i veri colpevoli passeggiano impuniti mentre gli agenti contano i giorni di ferie forzate per riprendersi dalle ferite. Quanti poliziotti, carabinieri, finanzieri devono ancora subire morsi, pugni, tentativi di omicidio prima che lo Stato si svegli? La domanda è retorica, ma la risposta è sotto gli occhi di tutti: troppe, a causa di una magistratura che privilegia i diritti dei delinquenti su quelli delle vittime in uniforme.
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Questa storia di Rimini non è un caso isolato, ma il sintomo di un’emergenza nazionale. Da Nord a Sud, le aggressioni alle forze dell’ordine fioccano – da Torino a Napoli, passando per le periferie di Roma – e la risposta è sempre la stessa: patteggiamenti ridicoli, riti alternativi, liberazioni anticipate. I ladri seriali, spesso extracomunitari senza radici né freni, imparano presto la lezione: qui puoi rubare, mordere, lottare per la pistola, e al massimo ti vedono in aula tra sei mesi, con un avvocato che grida “diritti umani”. Intanto, gli italiani onesti pagano il prezzo: negozi depredati, famiglie terrorizzate, e un senso di insicurezza che avvelena la vita quotidiana. Paoloni ha ragione: è un circolo vizioso di impunità che legittima il crimine, scoraggia i tutori della legge e premia chi arriva qui non per lavorare, ma per depredare.
È ora di dire basta a questa follia. Serve una riforma vera, non chiacchiere: pene certe e immediate per chi aggredisce le divise, espulsioni lampo per gli irregolari, e un sistema che metta al primo posto la sicurezza degli agenti, non i cavilli per i malfattori. Altrimenti, chi proteggerà i protettori? Rimini, con il suo clandestino a piede libero, è un monito: se non cambiamo rotta, l’impunità non solo morde, ma uccide. E stavolta, la ferita non guarisce in 10 giorni.



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