Mohammed non deve diventare italiano: salviamo il nostro futuro
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### Mohammed non deve diventare italiano
L’annuncio della Lega – «Esame per diventare italiani» – è un grido d’allarme in un momento in cui l’Italia rischia di perdere per sempre la propria identità civile, culturale e religiosa. È un segnale politico forte e necessario, ma resta un palliativo. Perché, per quanto rigoroso possa essere un esame di lingua, storia e valori, esso non potrà mai trasformare in italiano chi italiano non è per sangue e per stirpe. Italiani non si diventa: italiani si nasce.
Il futuro dell’Italia è islamico se non azzeriamo flussi regolari dai paesi musulmani
Mohammed (con le sue varianti Muhammad, Mohamed, Mohammad) è ormai il nome più comune tra i nuovi nati in molte grandi città italiane: Milano, Torino, Genova, Bologna, Roma, Napoli. Questo dato Istat non è una curiosità anagrafica: è la prova visibile, quotidiana, di una sostituzione etnica in atto. L’Italia ha il tasso di natalità più basso d’Europa (1,24 figli per donna nel 2024), mentre le comunità di origine islamica mantengono tassi medi tra 2,5 e 4 figli per donna. A questo si aggiunge un’immigrazione di massa che dal 2011 ha portato oltre 1,2 milioni di persone provenienti quasi esclusivamente da Paesi islamici (Bangladesh, Pakistan, Marocco, Egitto, Tunisia, Albania musulmana, Senegal, Gambia, Nigeria settentrionale). Le cittadinanze concesse ogni anno oscillano tra 150 e 200 mila, con netta prevalenza musulmana.
Il paesaggio urbano è già cambiato per sempre: via Padova e viale Jenner a Milano, Porta Palazzo e Barriera di Milano a Torino, Tor Pignattara e Centocelle a Roma, il Pilastro e la Bolognina a Bologna, l’Arcella a Padova non sono più quartieri italiani. Le chiese chiudono o vengono vendute, le moschee – spesso abusive o mascherate da «centri culturali» – si moltiplicano. In numerose scuole primarie del Nord i bambini italiani sono già minoranza. Il niqab e il burqa, un tempo impensabili a Firenze o a Venezia, sono ormai presenza quotidiana.
Chi parla di «integrazione possibile» ignora la lezione della storia: l’Islam non si integra, colonizza. Quando la percentuale musulmana supera il 10-15% iniziano le rivendicazioni di autonomia giuridica: sharia familiare, scuole coraniche separate, deroghe al diritto civile, tribunali islamici paralleli. Lo abbiamo visto in Francia, in Inghilterra, in Svezia, in Belgio. L’Italia è già sulla stessa strada: nel 2023 il Consiglio islamico d’Italia ha chiesto l’insegnamento obbligatorio della religione musulmana nelle scuole pubbliche e il riconoscimento della poligamia nei ricongiungimenti familiari.
La proposta leghista di un esame di cittadinanza è quindi un passo necessario, un argine minimo di buon senso. Ma è radicalmente insufficiente. Un esame può verificare la conoscenza di Dante o dell’articolo 3 della Costituzione, ma non può cancellare il sangue, la memoria genetica, il senso profondo di appartenenza che lega un popolo alla sua terra da secoli. La cittadinanza non è un certificato conseguito rispondendo a quaranta domande: è una realtà etnica, storica e spirituale. Si può imparare perfettamente l’italiano, rispettare le leggi, pagare le tasse, e continuare comunque a sentirsi e a comportarsi come pakistano, bengalese o marocchino – e a educare i propri figli in tal senso.
Gli italiani sono i discendenti di Roma, dei Comuni medievali, del Rinascimento, del Piave. Sono il popolo che ha dato al mondo il diritto romano, Michelangelo, Verdi, Enrico Fermi. Questa continuità non si acquisisce con un quiz: si trasmette col sangue. Lo ius sanguinis non è un retaggio fascista, come dicono i salotti radical-chic: è l’unico principio serio che ogni nazione storica ha sempre difeso (Germania fino al 2000, Giappone ancora oggi, Israele, Polonia, Ungheria, tutti i Paesi dell’Est Europa). Solo l’Occidente europeo, in preda a un masochismo suicida, ha accettato lo ius soli temperato e la cittadinanza facile come se la nazione fosse un club privato aperto a chiunque paghi la quota.
Un esame può al massimo selezionare immigrati «utili» o apparentemente assimilati. Ma non fermerà la sostituzione etnica, perché non ferma la demografia e non ferma la trasmissione culturale nelle famiglie e nelle comunità parallele. Mohammed potrà pure superare il test con 100/100, continuare a chiamarsi Mohammed, a pregare cinque volte al giorno verso La Mecca, a sposare una cugina importata dal villaggio, a educare le figlie al velo e i figli al primato dell’umma. E i suoi figli saranno cittadini italiani sulla carta, ma cresceranno sentendosi parte di un’altra civiltà, votando per chi promette più moschee e più sharia.
Per questo la difesa vera dell’Italia passa attraverso il ritorno pieno e senza vergogna allo ius sanguinis come unico criterio di cittadinanza (salve rare, motivate, eccezionali naturalizzazioni decise caso per caso dal Parlamento, come avveniva un tempo). Passa attraverso il blocco navale, la fine dei ricongiungimenti familiari indiscriminati, l’espulsione immediata di ogni immigrato irregolare o delinquente, il divieto di nuove moschee, la chiusura definitiva delle frontiere alla immigrazione extra-europea di massa.
Mohammed – con un limite numerico definito in Costituzione – può vivere in Italia, lavorare in Italia, essere rispettato in Italia. Ma Mohammed non deve diventare italiano, perché italiano non si diventa: si è, per diritto di sangue e per fedeltà alla millenaria civiltà che quel sangue ha generato.
L’Italia non è un’idea astratta, un pezzo di carta, una bandiera da sventolare al mondiale. L’Italia è un popolo, una storia, un destino. E un popolo ha il sacro diritto di non estinguersi.



Via questo governo di bugiardi.