Taharrush gamea, migranti: l’Italia ormai è nostra e stupriamo chi vogliamo
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Taharrush gamea, in arabo “conquista di massa”, “violenza di massa”, è diventata espressione di moda, un’allegoria della nostra sconfitta, o, dal punto di vista dei nuovi padroni, un apologo: ti circondiamo e ti prendiamo, di te facciamo quel che vogliamo, sei colonizzata, sei di nostra proprietà. Vale per la ragazza all’uscita della discoteca Alcatraz di Milano come per quelle molestate a Capodanno sotto al Duomo, per la città intera, per l’Europa intera. È l’allegoria della contenzione fisica, della prigione umana: “Ci hanno circondato in trenta o quaranta e si sono fatti addosso, ci hanno palpeggiate e violate sotto i vestiti e nessuno li fermava”. Un rituale che, a forza di ripeterlo, diventa fatale, diventa normale. “È la loro cultura” come dicono le femministe schizoidi, dimenticando quod erat demonstrandum, la verità evidente sotto gli occhi di tutti.
Più le democrazie europee implodono nei loro obblighi e divieti paranoici, nei loro coprifuoco allucinanti, e più consentono ai nuovi colonizzatori il diritto di preda e saccheggio, come gabbie che si aprono dentro altre gabbie. Sotto pandemia, gli unici a non venire segnalati, fermati, sindacati erano gli islamici, i migranti. Adesso la situazione è conclamata: a decine possono occupare un luogo o una persona, una donna, e di fatto la fanno franca, confortati da una tolleranza che ricorda panem et circenses, distrazioni per non vedere il vero volto della situazione.
Il sindaco di Milano, con discorsi a pera, ricorda ai suoi concittadini il pizzaiolo egiziano e il barbiere bengalese per giustificare la disfatta sulla sicurezza, come se bastasse l’apparenza per nascondere la realtà. Parla della superfluità degli inseguimenti: “Che bisogno c’era, Rami non sarà stato un santo ma aveva la bandiera italiana in camera”, ma questa è solo l’ammissione di un fallimento. Perché se uno col tricolore in venti minuti spaccia, rapina, sfonda un posto di blocco e finisce contro un semaforo che lo uccide per colpa del compare algerino, vuol dire che non c’è niente da fare, che questa è disintegrazione, non integrazione.
Il sindaco ammette, a denti stretti, che “A Milano l’integrazione non va mica tanto bene”, come se ci volesse il silenzio dei monaci per capirlo! Ma Milano non va “mica tanto bene” da decenni, e la colpa è dei vaneggianti della metropoli tascabile, del Grande Abbraccio, dell’inclusione diffusa, cazzate monumentali per non vedere quello che tutti vedono: il grande abbraccio è quello della taharrush gamea che stritola, che a forza di abbracciarli, questi in quaranta abbracciano le donne e le violentano sotto la Madonna del Duomo, a sommo spregio.
La destra del neopotere non è da meno, manda in piazza le divise ma le priva di ogni facoltà, a fini di puro contenimento, a prendersi botte e sputi con l’ordine di non reagire; se una pattuglia fa il suo dovere, inseguendo due rapinatori stranieri, vengono criminalizzati i carabinieri, se ne contesta l’operato, si teorizza il diritto all’impunità. Il ministro della polizia Piantedosi parla dell’ultimo stupro fuori dall’Alcatraz ad opera di un egiziano: “Inaccettabile”, ma la tragedia è che invece tutto è accettabile in quanto accettato, subito con rassegnazione. Taharrush gamea, siete nostri, siete prede. Da trent’anni di integrazione fallimentare non si torna indietro: pensavamo che questi dell’Islam fanatico o opportunistico si sarebbero ammorbiditi, adeguati per via consumistica, ma hanno colto tutti i diritti che il garantismo e l’integrazionismo coglione gli garantivano, compreso quello a delinquere, e non si sono integrati, non gli conveniva; sono passati direttamente alla conquista.
“Polizia di merda, qui comandiamo noi”: grido che si ascolta all’ombra del Duomo come al Corvetto, lungo i Navigli quanto al Castello o per la Cintura. E purtroppo, è vero. La stazione ferroviaria di Monza sembra i sobborghi del Cairo, con una camionetta dell’esercito che staziona patetica mentre sotto gli occhi dei militari succede di tutto e quelli per amor di pace fingono di non vedere. Questa sarebbe la sicurezza dello Stato? Questa l’integrazione? Sì, nello sbando dell’inaccettabile che diventa fatto compiuto.
Se la sinistra è onirica, la destra è cinica; se la sinistra è ipocrita, la destra è rinnegata e incapace. Ne deriva uno scaricabarile allucinante, tutti che nella città dei maranza si rinfacciano le colpe e nessuno fa niente. Come a Parigi, dove la sindaca Hidalgo offre un teatro ai sacri migranti “per farci capire come integrarvi” e quelli subito glielo dimostrano, lo riducono una porcilaia e lo occupano. E siccome sgomberarlo è “contrario ai suoi principi”, Hidalgo se la cava anche lei con lo scaricabarile, come se fosse colpa delle ingiustizie storiche, delle sperequazioni stratificate dal capitalismo. Ma guai a dire la verità, come Terzani in Cambogia, guai a dire che nessuno si integra se capisce che gli conviene vivere di prepotenza. Nel Regno Unito, dove hanno già la sharia e i tribunali islamici, c’è il peggiore di tutti, il primo ministro Strarner, che vuole vietare i parchi ai cani in quanto sgraditi agli islamici, mentre organizzano stupri di massa su bambini nel persistente silenzio dei media.
E dite che un’integrazione democratica, legalistica è ancora possibile? A Campi Bisenzio al funerale di un maranza scoppia una rissa coi coltelli che finisce nei soliti assalti alla polizia. Nella città fatta all’inferno, il sindaco rende la vita impossibile agli automobilisti con limiti di velocità ridicoli e tollera lo sfondamento dei posti di blocco dai maranza impazziti. Poi succede il disastro e dice: volevo capire. Ma qui, come ripeteva Seneca, non est ad astra mollis e terris via, non c’è una via facile dalle terre alle stelle, e l’immigrazione islamica sembra essere diventata il nostro cammino verso l’abisso.
Datemi retta: imparate a difendervi da soli perchè difficilmente qualcun altro lo farà per voi e, per piacere, smettete di fare i buonisti sennò vi prendo a calci in culo io, per il vostro bene naturalmente…