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Siamo alla follia totale: si vuole sancire il “diritto di fuga”?

Secondo i pm, il carabiniere che guidava l’auto, durante l’inseguimento dello scooter su cui viaggiava l’egiziano Ramy Elgaml, non aveva tenuto la distanza idonea. pic.twitter.com/8UXAEVxd9x

— Francesca Totolo (@fratotolo2) July 5, 2025

**Carabinieri contro toghe rosse: Siamo alla follia totale: si vuole sancire il “diritto di fuga”?**

La vicenda del caso Ramy Elgaml, il 19enne egiziano morto il 24 novembre 2024 a Milano durante un inseguimento dei carabinieri, è un affronto alla logica e a chi rischia la vita per la nostra sicurezza. La Procura di Milano, con i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, ha chiuso le indagini accusando il carabiniere di omicidio stradale per non aver mantenuto la distanza idonea dallo scooter di Ramy, guidato dal complice Fares Bouzidi, un fuggitivo strafatto di droga e senza patente. Entrambi rischiano il rinvio a giudizio: un’assurdità che equipara un servitore dello Stato a un criminale.

Ramy e Bouzidi non erano innocenti: il primo era un fuggitivo con precedenti, il secondo già condannato a due anni e otto mesi per resistenza. Le perizie confermano che il carabiniere ha agito correttamente, frenando e senza causare speronamenti decisivi; l’incidente è avvenuto per lo schianto dello scooter contro un semaforo. Eppure, i pm insistono, dando credito a ricostruzioni di parte dei familiari, mentre si accusano altri carabinieri di depistaggio con prove inconsistenti, come un video di un testimone a 290 metri di distanza.

Questa giustizia capovolta trasforma il carabiniere in vittima: indagato e umiliato per aver fatto il suo dovere. In un Paese normale, le forze dell’ordine avrebbero l’autorità di fermare un delinquente in fuga, anche a costo di rischi, come negli Stati Uniti, dove la priorità è proteggere i cittadini. In Italia, invece, il garantismo ipocrita lega le mani a chi ci difende, rischiando stragi per inseguimenti mal gestiti. Le toghe rosse, con accuse pretestuose, indeboliscono lo Stato e scoraggiano chi indossa una divisa.

Basta con questa persecuzione! I carabinieri meritano rispetto e strumenti per agire senza finire in tribunale.

Il caso Ramy Elgaml, il 19enne morto il 24 novembre 2024 a Milano durante un inseguimento, ha scatenato la ribellione dei carabinieri contro la Procura. I pm accusano il militare di omicidio stradale, sostenendo che non abbia mantenuto la distanza idonea dallo scooter guidato da Fares Bouzidi, complice di Ramy, durante la fuga. La perizia dell’ingegnere Domenico Romaniello, nominato dalla pubblica accusa, chiarisce però che il carabiniere ha agito correttamente, frenando senza causare speronamenti decisivi, e che l’incidente è avvenuto per lo schianto dello scooter contro un semaforo. Nonostante ciò, i familiari di Ramy, supportati dall’avvocata Barbara Indovina, insistono su un urto decisivo, alimentando un clima di tensione.

Il sindacato Sim, guidato dal segretario A.G. Privitera, denuncia una giustizia capovolta, chiedendo prudenza verso chi rischia la vita per la sicurezza e il rispetto del diritto alla fuga pericolosa, rilanciato da FdI come reato. L’accusa di depistaggio a carico di altri carabinieri, basata su un video di un testimone a 290 metri di distanza – ritenuto inutile dai consulenti – appare come un tentativo di screditare le forze dell’ordine. Questo caso evidenzia un pericoloso conflitto tra toghe e divise, con il carabiniere trasformato in capro espiatorio, mentre il sindacato si scaglia contro un sistema che sembra proteggere i fuggitivi piuttosto che chi li insegue.