Le spiagge italiane devono essere libere, soprattutto dalle multinazionali
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**Le spiagge italiane: per una gestione libera e contro l’attacco delle multinazionali**
In Italia, le spiagge rappresentano un patrimonio naturale e culturale unico, un bene comune che dovrebbe essere accessibile a tutti i cittadini senza restrizioni. La soluzione ideale sarebbe una gestione completamente libera delle spiagge, con la possibilità per i bagnanti di usufruire di servizi come il noleggio di lettini e ombrelloni, ma senza l’occupazione monopolistica delle coste attraverso concessioni che, di fatto, privatizzano l’accesso al mare. Tuttavia, la questione balneare è al centro di un dibattito che nasconde interessi ben più complessi e pericolosi per il Paese.
Negli ultimi anni, i gestori balneari italiani sono stati oggetto di un vero e proprio massacro mediatico. Questo attacco, spesso orchestrato da grandi testate giornalistiche e media mainstream, sembra seguire una regia precisa: screditare i piccoli imprenditori locali per spianare la strada all’applicazione della direttiva Bolkestein. Questa normativa europea, lungi dall’essere uno strumento per liberalizzare il mercato, appare sempre più come un cavallo di Troia per favorire l’acquisizione delle spiagge italiane da parte di multinazionali straniere. Non si tratta di garantire maggiore concorrenza o accesso democratico al mare, ma di trasferire il controllo di un bene pubblico strategico a grandi gruppi economici, spesso stranieri, che vedono nelle coste italiane un’opportunità di profitto senza precedenti.
Un parallelismo evidente si può tracciare con la situazione dei tassisti, anch’essi sotto attacco per motivi simili. In entrambi i casi, si utilizza la retorica della “modernizzazione” e della “libertà di mercato” per smantellare settori economici che, pur con i loro difetti, rappresentano una rete di piccoli imprenditori locali che garantiscono occupazione e servizi radicati nel territorio. La liberalizzazione, così come proposta, non favorisce i cittadini, ma apre le porte a colossi internazionali pronti a monopolizzare mercati strategici, come già avvenuto in altri settori.
Tuttavia, il vero dramma che affligge il settore turistico balneare, e non solo, è il crollo del potere d’acquisto della classe media italiana. Le famiglie, schiacciate da un’economia sempre più precaria, non possono più permettersi vere vacanze, e men che meno le villeggiature di un tempo. Questo impoverimento non è un fenomeno isolato, ma il risultato di politiche economiche imposte dall’Unione Europea, che hanno favorito la delocalizzazione industriale, l’austerità e un’immigrazione di massa che ha messo sotto pressione il mercato del lavoro, deprimendo i salari e aumentando la competizione per le risorse. La direttiva Bolkestein, in questo contesto, non è una soluzione, ma un ulteriore strumento di espropriazione di risorse nazionali a favore di grandi interessi stranieri.
La soluzione non può essere la svendita delle spiagge italiane allo straniero, nonostante l’ingiustizia di chi, per generazioni, ha gestito stabilimenti balneari con passione e fatica ma pagando canoni non competitivi. Serve piuttosto una riforma che garantisca l’accesso libero alle spiagge, con servizi a disposizione di tutti, senza cedere alle pressioni di chi vuole trasformare le coste italiane in un affare per pochi. La battaglia per le spiagge non è solo una questione economica, ma una difesa dell’identità e della sovranità di un Paese che non può permettersi di perdere il controllo del proprio patrimonio naturale: né verso privati italiani né, soprattutto, verso multinazionali straniere.
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