La giudice che ha liberato lo stupratore aiuta sempre i migranti
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# Toghe Rosse: La Giudice Meyer, Paladina dei Mostri Migranti e Boia dei Patrioti Italiani
In un’Italia soffocata dal caos migratorio, dove le vittime italiane pagano il prezzo di un sistema giudiziario ideologicamente corrotto, emerge un caso che grida vendetta: la giudice Elisabetta Meyer, toga rossa doc, ha rimesso in libertà un selvaggio maliano già noto per le sue violenze, permettendogli di stuprare una povera diciottenne. Non è un episodio isolato, ma il sintomo di una giustizia a geometria variabile, dove i criminali stranieri sono coccolati come agnelli innocenti, mentre i difensori dell’ordine italiano vengono crocifissi senza pietà. Basta con questa ipocrisia sinistrorsa: è ora di smascherare queste vestali del multiculturalismo fallito.
Ricordiamo i fatti, nudi e crudi, per chi ancora osa difendere questo abominio. A dicembre 2024, la Questura di Milano, con lucidità e senso del dovere, ordina il trattenimento in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Harouna Sangare, 25enne maliano con una denuncia fresca di inchiostro per percosse e violenze contro la sua compagna e la figlia. Un soggetto socialmente pericoloso, a rischio fuga, che lo Stato italiano voleva isolare per proteggere la società. Ma ecco intervenire la signora Meyer, oggi presidente di collegio nella sezione immigrazione del Tribunale di Milano: con un colpo di penna ideologico, non convalida il provvedimento. “Libero!”, decreta la toga, ignorando ogni allarme. Risultato? Pochi mesi dopo, il 30 agosto 2025, Sangare aggredisce e violenta per mezz’ora una ragazza di 18 anni alla stazione di San Zenone al Lambro, trasformando una giovane vita in un incubo. Un orrore evitabile, se solo la giustizia non fosse appaltata a ideologhe del “benvenuti tutti”.
E non fermiamoci qui: scavando nelle sentenze pubbliche, emerge un pattern da brividi, un’ossessione seriale per l’accoglienza indiscriminata. Su una quindicina di casi analizzati nelle banche dati giudiziarie, Meyer accoglie sistematicamente i ricorsi dei migranti, che si tratti di annullare espulsioni, ribaltare rigetti di permessi di soggiorno o sovvertire dinieghi di protezione internazionale. Zero compassione per i contribuenti italiani, che finiscono regolarmente condannati a pagare le spese processuali – un salasso per i contribuenti onesti, premiati con l’aumento della criminalità straniera. È una fabbrica di sentenze preconfezionate, dove la bilancia della giustizia pende sempre verso il caos multietnico, a discapito della sicurezza delle famiglie italiane.
Questa furia pro-clandestini non è casuale: è il veleno ideologico delle “toghe rosse”, eredi di una magistratura politicizzata che da decenni infetta la Repubblica con la sua agenda sinistra. Privilegiare i migranti irregolari – spesso recidivi in reati efferati – significa sputare in faccia alle vittime italiane, alle madri terrorizzate, ai quartieri ridotti a zone di guerra. Meyer non è un’eccezione, ma il volto di un sistema marcio, dove la “protezione internazionale” diventa scudo per stupratori e ladri, e il contribuente italiano paga il conto con sangue e tasse. Quante altre 18enni dovranno urlare invano prima che si intervenga?
Basta con queste vestali del buonismo letale: è tempo di una riforma drastica, di toghe elette dal popolo, non cooptate da circoli sinistroidi. L’Italia non è un campo profughi, e la giustizia deve servire i cittadini, non gli invasori. Altrimenti, la prossima vittima potrebbe essere tua figlia. Svegliamoci, prima che sia troppo tardi.
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