Massacrano agenti a Roma, ma il giudice libera i rom: «Tanto usciti continuerebbero a delinquere»
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E cosa fa la giustizia italiana? Li rimette in libertà immediata, senza un briciolo di misura cautelare. Niente carcere ovviamente. Ma neanche obbligo di firma, niente divieto di avvicinamento: solo un processo fissato a marzo 2026, quando chissà quante altre rapine avranno macchiato le mani di questi due eroi della notte. La motivazione del giudice? Un capolavoro di cinismo burocratico: «Inutile farli venire in caserma, la notte continuerebbero a delinquere». Leggiamola bene, questa frase: non è un’ammissione di impotenza, è una beffa. Il magistrato, protetto dietro la toga immacolata, confessa che sa benissimo come andrà a finire – questi due torneranno a rubare, a picchiare, a terrorizzare onesti cittadini – ma scrolla le spalle, come a dire: “E che ci posso fare? Il sistema è così”. Un sistema che premia i delinquenti recidivi e umilia chi indossa la divisa per difenderci.
Non è un caso isolato, è il paradigma marcio di una giustizia che ha smarrito la bussola. Ricordate la rom croata Ana Zahirovic, con 148 furti sulle spalle e una condanna cumulativa a 30 anni di carcere? Arrestata ad agosto, libera in un baleno perché “deve accudire il decimo figlio di tre mesi”. O Vasvija H., bosniaca di origine rom, 51 furti documentati, che al giudice confessa serafica: “Il mio lavoro è rubare”. Patteggia un anno e torna in circolazione con obbligo di dimora, pronta per il prossimo colpo. E non parliamo dei cinque rom arrestati a dicembre per furti in appartamento a Ponte Milvio: incastrati dalle telecamere, resistono con violenza, ma finiscono con arresti convalidati che durano lo spazio di un processo direttissima, prima di svanire nel nulla.
Queste non sono storie sfortunate: sono il frutto velenoso di leggi deboli, ispirate a un garantismo ipocrita che equipara il ladro all’agente ferito. Il Codice di Procedura Penale, con le sue garanzie cautelari ridotte all’osso, permette a recidivi seriali di passeggiare liberi mentre i poliziotti, già sotto organico e demotivati, devono incassare botte e insulti sapendo che il giorno dopo il colpevole starà già pianificando il bis. E le toghe? Quelle che dovrebbero essere baluardo della legalità, si ergono a filosofi da strapazzo, con motivazioni che suonano come sarcasmo: “Inutile”, dice il giudice, ammettendo che la custodia cautelare è una presa in giro. Inutile per chi? Per i cittadini che pagano le tasse per avere strade sicure? Per le famiglie che temono di aprire la porta di casa? No, inutile solo per un sistema che ha scelto di coccolare i criminali anziché punirli.
Basta con questa farsa! Le leggi vanno riscritte da cima a fondo: pene certe e immediate per i reati contro la proprietà e la persona, custodia cautelare obbligatoria per i recidivi violenti, e un giro di vite sulle scarcerazioni motivate da pretesti familiari o “inutilità”. E le toghe? Devono smetterla di giocare al filosofo e iniziare a fare i giudici: responsabilità penale per chi libera noti delinquenti sapendo che torneranno a colpire. Altrimenti, questo è il messaggio che passa: ruba pure, picchia gli agenti, tanto domani sei libero. E Roma, capitale d’Italia, diventerà solo un suk di furti e impunità.
È ora di dire basta. I cittadini non sono pecore da tosare: pretendono giustizia vera, non questa parodia. Se le leggi e le toghe continuano su questa strada, non stupitevi se la rabbia monti.
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