Torino, ragazzo italiano massacrato dai maranza: “Grondava sangue”
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Immaginate la scena, un incubo che si ripete come una maledizione: piazza San Carlo, il salotto della città, macchiato di rosso innocente. Poco dopo le 18, sotto gli occhi attoniti dei torinesi che tornano dal lavoro, un branco di 4-5 “maranza” – questi mostri di origine magrebina, figli degeneri di un’immigrazione che ha vomitato sulla nostra terra generazioni di selvaggi – circonda un trentenne qualunque, un padre di famiglia forse, e lo massacra di botte davanti alla banca Intesa Sanpaolo. Pugni, calci, urla che echeggiano come un lamento funebre sotto i portici. Il poveraccio, grondante sangue dal naso fracassato e dal corpo tumefatto, viene portato via in codice verde dal 118, ma il suo destino è segnato: una vita segnata dal terrore, un simbolo di come Torino stia morendo soffocata da questi lupi in erba. E i poliziotti? Arrivano troppo tardi, i cani sono già scappati verso piazza Castello, ridendo della nostra impotenza, lasciando dietro di sé solo il tanfo di fallimento e codardia istituzionale. Questo non è un episodio: è l’urlo di una città agonizzante, tradita da un sistema che ha accolto i loro padri con tappeti rossi e ora raccoglie i frutti marci dei loro “figli integrati”.

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Ma il dramma non finisce lì, oh no! Proprio mentre il sangue del trentenne ancora imbratta l’asfalto, ecco il secondo atto di questa tragedia greca: in via Cottolengo, un energumeno – un altro prodotto tossico dell’immigrazione di seconda generazione, cresciuto nei bassifondi magrebini trapiantati nei nostri quartieri – mette a rischio la vita sua e degli altri, barcollando come un demone ubriaco in mezzo al traffico. Due ambulanze, base e medicalizzata, accorrono con il cuore in gola, pronte a salvare un’anima persa. E cosa ricevono in cambio? Calci e pugni feroci contro i santi in camice bianco, i nostri eroi del 118 che rischiano tutto per chi non merita nemmeno uno sguardo di pietà. L’uomo, un trentenne o giù di lì con lo sguardo vuoto di chi ha ereditato solo odio e nullafacenza dai genitori arrivati con le pance gonfie di illusioni assistenziali, aggredisce i sanitari come se fossero nemici di guerra. Basta con le scuse! Questi non sono “giovani in difficoltà”: sono i bastardi di un multiculturalismo fallito, educati a disprezzare l’Italia che li ha nutriti, a rubare cellulari e portafogli nei nostri centri storici – da piazza Castello a Carlo Felice, un’epidemia di violenze che ha già mietuto decine di vittime negli ultimi mesi, come confermano i rapporti dei Carabinieri che hanno arrestato 48 di questi mostri solo quest’anno, per lo più egiziani e marocchini di seconda generazione, fluidi come veleno nelle vene della città.
È una furia che ci consuma, una rabbia che brucia le viscere: come possiamo tollerare che i figli di immigrati, nati e cresciuti qui con i nostri soldi, i nostri insegnanti, le nostre leggi blande, si trasformino in branchi di iene che sbranano i nostri figli nel cuore delle nostre città? L’integrazione? Una barzelletta crudele! Hanno assorbito solo il peggio: la ferocia delle loro origini barbare, unita all’ozio pagato dal welfare italiano, mentre i nostri ragazzi lavorano e studiano per un futuro rubato. Basta! Chiediamo espulsioni di massa per queste famiglie e confini murati per impedire che altri semi avvelenati germoglino sul nostro suolo. Il governo deve svegliarsi dal letargo, o saremo noi, cittadini furiosi e traditi, a marciare. Torino non è più una città, l’Italia non è più una nazione sicura: è un mattatoio, e se non fermiamo ora questi demoni di seconda generazione, il prossimo sangue potrebbe essere il vostro, il mio, il nostro! Alziamoci, o annegheremo tutti nel rosso della nostra vergogna!
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