Ecco i maranza che hanno torturato il ragazzino italiano: “Volevano umiliarlo” – FOTO
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La mamma: “volevano umiliarlo”.
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Una notte di terrore che ha sconvolto la periferia torinese, trasformando la festa di Halloween in un incubo per un quindicenne con disabilità cognitive. Tre coetanei – due ragazzi di 14 e 15 anni e una ragazza di 16 – sono accusati di averlo sequestrato, umiliato, picchiato e costretto a tuffarsi nelle gelide acque di un fiume. Un episodio che evoca le dinamiche dei “maranza”, quelle bande di giovani allo sbando, spesso composte da immigrati di seconda generazione, che tra bravate e violenza seminano paura nei quartieri degradati. Ma stavolta, la vittima è un ragazzo fragile, e la risposta della comunità oscilla tra rabbia e un appello alla calma.
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### Il sequestro: una notte di umiliazioni e botte
Secondo l’accusa, tutto è iniziato nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre. I tre aggressori, conosciuti alla vittima attraverso ambienti scolastici, lo avrebbero attirato in un appartamento a Torino, trasformandolo in prigione privata. Lì, il quindicenne – descritto dalla madre come un “bel ragazzo” nonostante le sue difficoltà – è stato vittima di un vero e proprio calvario: percosso, deriso per la sua condizione e infine trascinato fino a un fiume, dove è stato costretto a immergersi nelle acque fredde, rischiando l’ipotermia. Una violenza premeditata, che non può essere liquidata come “bravata”, come ha sottolineato la famiglia.
I responsabili, tutti minorenni, non sono estranei alla giustizia. Hanno già alle spalle denunce per vandalismi e danneggiamenti in vari comuni della cintura torinese, episodi che delineano un profilo di una “maranza” giovanile: gruppi informali di adolescenti, immigrati di seconda generazione, che, tra noia e ricerca di potere, sfogano impulsi distruttivi su chi è più debole. Le indagini, condotte dai carabinieri, hanno portato alla loro rapida identificazione, ma il caso solleva interrogativi profondi su come prevenire queste spirali di violenza tra i più giovani.
### Tensioni alte: minacce di ritorsione e intervento delle forze dell’ordine
La notizia dell’accaduto si è diffusa come un incendio sui social, innescando una catena di reazioni furibonde. Gli amici della vittima non hanno tardato a farsi sentire: commenti come “Infami, dovete pagare” hanno invaso i canali online dei presunti aggressori. Il climax si è raggiunto ieri pomeriggio, 3 novembre, quando circa cinquanta giovani si sono radunati con l’intenzione di una “spedizione punitiva” contro i tre. Grazie all’intervento tempestivo dei carabinieri, l’episodio è stato bloccato sul nascere, evitando un’escalation che avrebbe potuto trasformarsi in un nuovo dramma. Le tensioni, tuttavia, restano palpabili: la paura di ulteriori ritorsioni aleggia sulla comunità, e le autorità monitorano da vicino la situazione.
### L’appello della madre: “La violenza chiama altra violenza”
A spezzare il cerchio dell’odio è stata la voce della madre del ragazzo, che per prima aveva denunciato le violenze sui social network. In un messaggio commovente e carico di dignità, ha rivolto un appello diretto ai giovani che le hanno mostrato solidarietà: “Voglio rivolgere un appello a tutti i ragazzi che ci stanno mostrando la loro vicinanza in questo momento di dolore, facendoci sentire quanto bene circonda mio figlio: vi chiedo di mantenere la calma e di non farvi giustizia da soli. L’odio e la violenza non portano a nulla; al contrario, la violenza chiama solo altra violenza. Lui è vivo, e ringraziamo Dio per questo”.
La donna non ha risparmiato critiche a chi minimizza l’accaduto: “Ciò che hanno fatto a mio figlio non può essere minimizzato o definito una ‘bravata’, come si legge in alcuni commenti. Sapevano bene che mio figlio è un bel ragazzo, e il loro gesto è stato un atto deliberato per fargli un torto, per ridurlo in questo stato”.
La giustizia farà il suo corso, ma spetta a tutti noi dire basta a queste storie di dolore. Perché, come ricorda la madre, “siamo tutti uguali” . Noi italiani, non i maranza.
È tempo di urlare la verità nuda e cruda, senza filtri politicamente corretti: gli immigrati di seconda generazione, forgiati in un calderone di culture ostili all’integrazione e nutriti da un welfare che premia l’assistenzialismo anziché il merito, sono bombe a orologeria che esplodono nelle nostre strade, come questa maranza torinese che ha massacrato un ragazzo disabile italiano solo per il gusto sadico del potere tribale. Non si integrano, punto e basta: crescono intrisi di un risentimento etnico che trasforma scuole e quartieri in campi di battaglia, dove i figli degli italiani – quei veri eredi di una civiltà millenaria – diventano carne da macello per bande che idolatrano la violenza come eredità culturale.
Basta con le favole dell’accoglienza: questi giovani non vogliono fondersi nella nostra società, ma conquistarla con pugni, coltelli e umiliazioni, perpetuando un ciclo di odio che infetta generazioni. L’unica soluzione drastica e salvifica è l’abrogazione immediata dei ricongiungimenti familiari, quel meccanismo perverso che importa famiglie intere di semi-analfabeti e disadattati, gonfiando le file di questi mostri in erba. Chiudiamo i rubinetti dell’immigrazione incontrollata, deportiamo i recidivi senza pietà, e riprendiamoci le nostre città: altrimenti, i nostri figli non avranno futuro, ma solo un eterno Halloween di terrore sotto il giogo di chi ci odia dall’interno. Svegliamoci, o periremo!



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