Stupratore di bambina si 12 anni denuncia chi lo odia: “Razzisti”
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### Il Paradossi della Vittimizzazione: A Sulmona, il 14enne Stupratore di una Bambina di 12 Anni Denuncia i Suoi “Haters” sui Social – Mentre la Vera Vittima Soffre in Silenzio
In un’Italia dove la barbarie si traveste da “giustizia”, ecco l’ultimo capitolo di follia a Sulmona: un 14enne, accusato di aver stuprato e ricattato per due anni una bambina di 12 anni – filmando gli abusi e diffondendoli su WhatsApp come trofei – ora si fa passare per vittima. Dal carcere minorile di Casal del Marmo, dove sconta l’arresto per violenza sessuale di gruppo, produzione di materiale pedopornografico e atti persecutori, il minore (italiano di seconda generazione, nato qui da famiglia di origine straniera) denuncia una decina di “haters” online. Commenti feroci sui social? “Ora impara cosa significa essere bullo”, “Marcisci in cella, mostro”. Lui, o meglio il suo avvocato, li querela per diffamazione, trasformando l’orrore in un circo mediatico dove il carnefice piange “offese” e la sopravvissuta – una dodicenne traumatizzata, ricattata con video che girano ancora nelle chat – resta un’ombra dimenticata.
Ricordiamo i fatti, perché questa farsa ha radici nel sangue. Da luglio 2023, quando la bambina aveva solo 10 anni, il 14enne (allora 12enne) e due complici (un 17enne e un 18enne, tutti cugini della vittima) la attirano in un giardino pubblico a Sulmona. Iniziano con “giochi” che diventano incubo: abusi sessuali a turno, ripresi con cellulari, usati per ricattarla – “Obbedisci o lo mandiamo a tutti”. Per quasi due anni, la piccola subisce: minacce, umiliazioni, diffusione dei video su gruppi WhatsApp che la marchiano per sempre. Solo quando un video finisce nelle mani sbagliate, la bambina – con un coraggio sovrumano – confessa ai genitori. Denuncia il 15 settembre 2025, arresti il 24 ottobre. Ma il 14enne, invece di pentirsi, finisce in carcere e lì… subisce “torture”: schiaffi, colpi con spazzola di ferro che lo fanno sanguinare, insulti, furti di cibo. Il padre denuncia il pestaggio (già in indagine), ma aggiunge la ciliegina: querela i cittadini che, leggendo lo sfogo familiare, hanno scaricato rabbia online. Risultato? La Procura di Sulmona apre un fascicolo per diffamazione contro chi osa chiamare “mostro” un mostro.
Paradossale? È un abominio. È la giustizia italiana che capovolge i ruoli: il 14enne, che ha distrutto l’infanzia di una coetanea con video pedopornografici diffusi come meme, diventa il “povero torturato”; i commentatori – genitori furiosi, cittadini schifati – finiscono indagati per parole dure. E la bambina? Lei, che a 10 anni è stata invaghita e poi spezzata da un “gioco” sadico, deve convivere con traumi, stigma sociale e la paura che quei video riemergano. Nessuna querela per lei contro i ricattatori; nessuna protezione vera. Solo silenzio, mentre il padre del carnefice – assistito da avvocati del foro di Sulmona – grida al “bullismo” online.
Qui entra il veleno dell’immigrazione di seconda generazione: questi ragazzi, nati in Italia da famiglie straniere (maghrebine o balcaniche, come spesso nei casi abruzzesi), crescono con documenti italiani ma un codice importato – violenza domestica, ricatti sessuali, disprezzo per le donne come “proprietà”. Sono il fallimento totale dell’integrazione: accolti con scuole gratuite e sussidi, producono mostri che stuprano coetanee e poi piangono “vittime” quando il carcere risponde con il suo “codice non scritto”. Dati impietosi: in Abruzzo, i reati sessuali minorili +200% dal 2020, con sovrarappresentazione di figli di immigrati (fonte Procura Minori L’Aquila). Non è razzismo: è realtà. Ricongiungimenti familiari infiniti e decreti flussi che importano culture patriarcali, dove una bambina di 10 anni è “preda facile”.
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Ma il vero scandalo è ideologico: in un’epoca di #MeToo e “credete alle sopravvissute”, un branco di adolescenti che filma pedopornografia ha il diritto di querelare chi li chiama col loro nome – stupratori – mentre la 12enne deve subire controinterrogatori protetti e terapisti pagati di tasca propria. Lui denuncia “offese”; lei tace per terrore di ritorsioni familiari (tutti cugini, in un ghetto etnico). Lui ha avvocati; lei combatte con incubi privati. E i social? Non sono “hate” quando insultano innocenti, ma crimine quando colpiscono criminali minorenni. È il vittimismo capovolto, dove il carnefice indossa la toga della sensibilità fragile.
Basta con questa ipocrisia. Revoca immediata della cittadinanza per minori con condanne sessuali, espulsioni coatte delle famiglie (rimpatrio per chi non educa al rispetto), e un tetto legale che trasformi la rabbia popolare in deterrente, non in reato. Altrimenti, quante altre bambine di Sulmona dovranno essere ricattate con video prima che lo Stato smetta di coccolare i loro aguzzini? Il 14enne di Casal del Marmo non è una vittima: è un parassita che ha abusato dell’Italia.



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