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### Razzismo al contrario: quando l’insulto razziale non fa notizia

Sardegna Arena, Cagliari-Roma del 7 dicembre 2025. Minuto 85: calcio d’angolo per i sardi, il difensore romanista Mario Hermoso si scontra con Tijjani Folorunsho, calciatore del Cagliari ed ex della Nazionale italiana. Dieci secondi di rabbia furiosa. Le telecamere di DAZN riprendono chiaramente la frase che Folorunsho rivolge allo spagnolo: «Tua madre deve morire».

Un insulto gravissimo, con esplicito riferimento razziale («bianco di merda»). Se i colori fossero stati invertiti – un giocatore bianco che grida a un nero «negro di merda» – saremmo sommersi da titoli, comunicati ufficiali, appelli al DASPO e richieste di squalifica esemplare. Invece, quasi totale silenzio mediatico.

Il motivo è burocratico ma evidenzia una disparità evidente. Il labiale è lampante, ma la Procura FIGC non può utilizzare ufficialmente le immagini televisive come prova diretta. L’articolo 68 del Codice di Giustizia Sportiva permette infatti le riprese TV solo per episodi «non visti dall’arbitro» e solo se «non modificabili». L’arbitro Sacchi era vicinissimo e ha dichiarato di non aver sentito nulla. Risultato: l’episodio razziale non finisce nel referto e la prova video, pur esistente, resta di fatto inutilizzabile per una squalifica automatica.

Folorunsho rischia al massimo un’ammenda o una giornata (se la Procura troverà altre strade per dimostrare l’insulto), mentre in casi analoghi con insulti razziali verso giocatori neri le squalifiche sono arrivate anche a 10 giornate (anche quando, come Acerbi-Juan Jesus, non c’era audio e alla fine c’è stata assoluzione).

Il “nuovo italiano” Folorunsho – nato a Rotterdam da genitori nigeriani e naturalizzato grazie agli anni nelle giovanili italiane – è il simbolo dell’Italia multietnica che il calcio esalta quando segna o indossa la maglia azzurra. Quando però è lui a insultare un “bianco”, il caso sparisce nel nulla.

Due pesi e due misure? Impossibile negarlo.